domenica 4 gennaio 2009

Ingiustizia è fatta






di Peter Gomez e Marco Lillo
(Giornalisti)





da L’espresso del 15 dicembre 2008


Un giro di soldi, appalti e comitati di affari. Tra magistrati, imprenditori e deputati. Il pm De Magistris indaga. Ma i suoi colleghi gli fanno la guerra.

Sabato 6 dicembre, per prendere una decisione sul caso De Magistris, al Consiglio Superiore della Magistratura sono bastate sette ore.

Poi, all’unanimità, i consiglieri hanno votato l’avvio della procedura di trasferimento per il procuratore generale di Catanzaro, Enzo Jannelli, e per il capo della Procura di Salerno, Luigi Apicella, contestando a entrambi l’incompatibilità ambientale e funzionale.

Lo “scontro tra procure”, “l’impazzimento del sistema” di cui parlavano politici e giornali, sembrava finito lì.

“Abbiamo agito nella massima tempestività per ripristinare nel Paese la fiducia nella magistratura”, gongolava il presidente della prima commissione, Ugo Bergamo, un ex senatore dell’Udc, membro laico del Csm, celebre più che altro per essere stato incluso nel 2002 dagli ex colleghi della Margherita nell’elenco dei parlamentari “pianisti”. I senatori immortalati dai fotografi mentre a Palazzo Madama votavano al posto degli assenti la legge Cirami: la norma ideata per trasferire i processi Toghe sporche da Milano a Brescia.

Nel fine settimana, però, l’ottimismo dell’organo di autogoverno dei magistrati è andato via via scemando.

Terminata la lettura delle 1.700 pagine del decreto con cui i pm di Salerno, dopo averne ufficialmente chiesto più volte copia, avevano ordinato il sequestro di tutte le carte delle indagini condotte dall’ex pubblico ministero Luigi De Magistris e disposto la perquisizione di ben sette magistrati di Catanzaro, per tutti è diventato chiaro che i problemi iniziavano in quel momento.

E che, prima o poi, sul banco degli imputati ci sarebbero finiti proprio il Csm, il ministero della Giustizia, i criteri con cui vengono nominati i capi degli uffici giudiziari e disposte le ispezioni ministeriali.

Il provvedimento racconta infatti la storia di un gigantesco presunto insabbiamento delle inchieste che a Catanzaro coinvolgevano alcuni dei più importanti nomi della politica e dell’imprenditoria calabrese e nazionale: dal segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, all’ex Guardasigilli Clemente Mastella, dal potente deputato-avvocato del Pdl Gianfranco Pittelli, all’ex sottosegretario Udc (ora Pdl), Pino Galati, dal vice garante della Privacy e ex presidente della regione, Giuseppe Chiaravalloti, per arrivare al capo della Compagnia delle Opere in Calabria, Antonio Saladino (l’unico del gruppo ancora indagato).

Dopo aver ascoltato decine e decine di persone, tra cui molti magistrati, investigatori e consulenti del tribunale di Catanzaro, i pm di Salerno hanno cominciato a sospettare che il vero motivo delle archiviazioni a raffica disposte dopo che a De Magistris erano state tolte le indagini su circa un miliardo e mezzo di fondi pubblici rubati in Calabria, non andasse ricercato nell’inconcludenza del suo lavoro, ma nella scarsa qualità di alcuni magistrati e i nei loro strettissimi rapporti, a volte di amicizia, a volte addirittura d’interesse, con molti dei potenti finiti sotto inchiesta.

Insomma a Catanzaro per andare a fondo, le toghe avrebbero dovuto indagare su loro stesse e i loro vicini di ufficio. Anche per questo, pensa l’accusa, le indagini si erano bloccate e si era evitato di trasmettere le carte.

È la seconda parte del caso De Magistris.

Quella che inizia quando il pm che indagava su il ministro Mastella finisce sotto inchiesta disciplinare venendo poi trasferito, mentre il procuratore capo, Mariano Lombardi, chiede di cambiare sede.

Una mossa decisa da Lombardi nell’autunno del 2007 per evitare che il Csm si pronunci sulle sue relazioni pericolose con il deputato di Forza Italia Pittelli e su quelle che il figlio della sua seconda moglie, un avvocato che lavora proprio con Pittelli, intrattiene con il sottosegretario Galati.

Un brutto intreccio che ha portato a ipotizzare che sia stato Lombardi ad avvertire nel 2005 Pittelli di come stessero per scattare delle importanti perquisizioni in un’inchiesta, ribattezzata Poseidone, su una frode sui depuratori da 800 milioni di euro, parte dei quali forse finiti a An, Udc e Forza Italia.

Ma vediamo cosa accade, secondo Salerno, dopo l’uscita di scena del vecchio procuratore. Per mesi, in attesa della nomina del nuovo capo, la Procura è diretta da Salvatore Murone, il procuratore aggiunto, un altro magistrato legato a doppio filo alla politica.

Il Consiglio superiore non è infatti intervenuto contro di lui sebbene sia chiaro che pure Murone ha relazioni molto strette, non solo con Pittelli, ma anche con Saladino, l’uomo forte di Comunione e liberazione in Calabria.

La situazione è antipatica. Anzi pericolosa. Saladino a Catanzaro vuole infatti dire l’altra faccia del sistema dei partiti.

È amico di Mastella, di Galati, di Pittelli, della segretaria particolare dell’ex presidente della Regione Chiaravalloti. A ogni elezione viene blandito, vezzeggiato, corteggiato. Insomma, come racconterà un testimone, è “il motore di una macchina oliata, di un sistema di potere in cui nessuno è escluso, perché lui riesce a coinvolgerli tutti”.

L’accusa considera Saladino il fulcro di un’organizzazione in grado di dirottare milioni e milioni di fondi comunitari poi utilizzati per finanziare aziende dalla scarsa utilità pubblica che però assumono centinaia di raccomandati.

Da chi? Dai politici che così riescono a costruirsi un bacino di voti. E dai magistrati e dalle forze dell’ordine che vogliono invece semplicemente lavoro per i loro amici e parenti.

L’elenco delle toghe che, secondo le carte di Salerno, hanno trovato un impiego per i loro familiari grazie a Saladino è impressionante.

Anche perché si tratta sempre di giudici collocati in posizioni chiave: c’è la presidente del tribunale del riesame di Catanzaro, Adalgisa Rinardo, nota, ricorda Salerno, per aver più volte demolito le indagini di De Magistris; c’è un ex presidente del tribunale di Lamezia Terme; c’è un giudice della Cassazione; c’è il presidente di una sezione di tribunale di Cosenza e così via.

Il Csm e gli ispettori del ministero, però, su tutto questo tacciono.

La cosa non sembra imbarazzare nessuno.

Anche se, sotto sotto, sono in molti a sottolineare l’inopportunità di certi rapporti.

Già nel 2002, per esempio, la moglie dell’allora capo dell’ufficio gip di Lamezia, Giacomo Gasparini, lascia il posto di lavoro che aveva trovato alla corte di Saladino e smette persino di frequentare Cl, perché, come racconterà a Salerno, quello che vede intorno “risultava non molto trasparente”.

Murone, invece, Saladino continua a frequentarlo e i suoi parenti continuano a lavorare con lui. Nella vita, del resto, ha superato problemi peggiori.

Nei primi anni ‘90 gli ispettori di via Arenula avevano consigliato di allontanarlo non solo da Lamezia, dove era gip, ma anche dalla provincia di Catanzaro, per “incompatibilità ambientale incolpevole”.

Murone era nato e vissuto in un paesino ad alta densità mafiosa, e i suoi provvedimenti finivano per questo per essere spesso chiacchierati.

Il Csm però, come avrebbe fatto nel 2007, non aveva mosso un dito.

Così, anche attraverso il fratello, avvocato nello studio del parlamentare di Forza Italia, Carlo Taormina, Murone aveva cementato i rapporti con il centrodestra: tanto da partecipare, tra il pubblico, a manifestazioni elettorali degli azzurri, assieme al procuratore Lombardi.

Nel 2005 il grande salto.

Il Consiglio superiore lo nomina procuratore aggiunto. Il suo sponsor è un membro laico, l’ex senatore di An Nicola Buccico, ma alla fine a dire sì, nel gioco delle correnti, sono anche Md (sinistra), Mi (destra) e il Movimento per la giustizia.

Murone è forte. E la sua forza, secondo Salerno, la fa valere tutte le volte che si toccano i piani alti della politica.

Prima, quando il procuratore Lombardi è ancora in sella, diventando l’ombra di De Magistris non appena questi mette sotto inchiesta il segretario dell’Udc, Cesa (il fascicolo viene coassegnato a Murone).

Poi, quando il pm manda un avviso di garanzia al senatore Pittelli, diventando il titolare dell’intera indagine.

A leggere le carte di Salerno si ha la sensazione che Murone venga considerato una sorta di garante del sistema.

La sua figura, infatti, resta centrale anche quando esplode il caso Mastella.

Non appena il quotidiano “Libero”, per la penna del ciellino Renato Farina, suggerisce di togliere a De Magistris l’indagine sul Guardasigilli e Saladino perché il pm sarebbe animato da “grave inimicizia” nei confronti del ministro, la procura generale si muove di conseguenza e avoca a sé le indagini.

Poi lancia un “interpello”. Chiede cioè se qualcuno vuole candidarsi a prendere in mano le scottanti carte per portare avanti l’inchiesta.

Per Salerno, però, “l’interpello” è solo una foglia di fico per nascondere una decisione già presa: spezzettare in più rivoli il fascicolo e archiviare il ministro.

Infatti, quando si fanno avanti due magistrati esperti, il loro nome non viene nemmeno esaminato. I successori di De Magistris devono essere invece due pm molto giovani. Anzi, uno dei due prescelti non è nemmeno un pm, è un uditore giudiziario, cioè un aspirante magistrato.

Il ragazzo è in comprensibile soggezione nei confronti di Murone, e racconterà a Salerno di aver ricevuto dal procuratore aggiunto brusche richieste di notizie sulle indagini: “Perché credi che ti abbia messo lì ...”, gli avrebbe detto Murone (che oggi nega).

L’altro selezionato è invece un tipo tosto: si chiama Pierpaolo Bruni, e si occupa di solito, e con straordinari successi, di ‘ndrangheta e pubblica amministrazione.

Gli basta poco per capire come gira il vento a Catanzaro. Tanto che in una mezza dozzina di testimonianze, racconterà in tempo reale a Salerno quello che sta accadendo nel suo Palazzo di Giustizia.

Parla dei suoi tentativi di spingere i colleghi a trasmettere la documentazione richiesta e della sua contrarietà alle continue archiviazioni, a partire da quella della posizioni di Prodi e di Mastella.

Così dalle testimonianze raccolte emerge a poco a poco l’immagine di una magistratura intimidita dalla politica.

Anche tra la maggioranza dei magistrati non collusi, è forte la convinzione che oltre certi livelli non si possa andare.

Non per niente i pm salernitani ricostruiscono nei particolari il sistema utilizzato per mettere in riga chi sgarra.

Si parte, come è successo a De Magistris nel 2005, con le interrogazioni parlamentari.

A prepararle, dicono più fonti sarebbe il senatore-avvocato Pittelli, a presentarle ci pensano poi i suoi colleghi.

Il contenuto è in gran parte falso, ma non importa, perché serve solo a spingere il ministro a ordinale le ispezioni.

A quel punto viene giocata la carta del ricatto: se non vi allineate scatta l’azione disciplinare.

Si legge in proposito nel diario elettronico di De Magistris alla data 21 marzo 2006: “Ho incontrato il procuratore generale Domenico Pudia ... Il procuratore generale aveva compreso come Pittelli volesse far credere che non si sarebbe dato seguito i risultati ispettivi nei confronti del Pg, del procuratore e dell’aggiunto Spagnolo, qualora vi fosse stato un loro atteggiamento “remissivo” nei miei confronti. Ha detto chiaramente che aveva avuto contezza che sono io l’obiettivo dell’ispezione”.

(ha collaborato Paolo Orofino)



2 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Sono sorpreso per l'assenza di commenti. Personalmente devo dire che mi era sfuggito, ma l'averlo letto oggi mi dà il vantaggio di avere la chiave di lettura di quanto è poi accaduto.
Era ed è evidente che l'inchiesta di Salerno è DEVASTANTE, è incredibile ciò Peter Gomez e Marco Lillo sono riusciti a ricostruire, pur nell'estrema sintesi di un articolo giornalistico.
Chi, allora, si fosse aspettato una forte reazione dello Stato avrebbe commesso un duplice peccato, di ingenuità e di sottovalutazione.
Infatti, il risultato è stato la stroncatura direi brutale della Procura della Repubblica di Salerno, principale obbiettivo, assieme ai tre magistrati indifendibili di Catanzaro, tutti proposti per il trasferimento ad altra sede e funzione.
Salomonicamente: tre contro tre.
Non solo.
Il Ministro di Giustizia Alfano ci ha messo il carico da undici: per Apicella ha addirittura chiesto la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio !
Tutti d'accordo, A.N.M., C.S.M., Ministro, P.G. presso la Cassazione !
Ma in che paese viviamo, civile, europeo o del quarto mondo ?
E l'Italia, si può ancora considerare, pomposamente, la "culla del diritto" ?

Anonimo ha detto...

Non ho parole, ma un grido mi esce dall'anima, e penso a una frase di Gesù: la giustizia non è di questo mondo.
Sono atterrito dopo la decisione di oggi, il CSM ha rigettato la ricusazione e ha punito la procura di Salerno per difendere i politici.
La giustizia non è mai caduta cosi in basso in Italia da tempo memorabile.
Ora a chi toccherà? Ai giudici del riesame di Salerno?
Ironia della sorte, dopo un anno esatto dalla punizione a De Magistris ora è toccato a Luigi Apicella, per gli stessi motivi, chi tocca why not muore.
I Martiri della Giustizia prima venivano uccisi dai killer della mafia, oggi invece vengono esautorati per le scottanti inchieste dalle istituzioni dello stato. L'equazione è abbominevole e fa intendere cose ancor più scabrose.
Grazie Luigi di avercelo fatto capire con il vostro sacrificio, almeno ora sappiamo e ci possiamo difendere da questo dramma.
Massimo Vulca