venerdì 9 gennaio 2009

Sul trasferimento cautelare e provvisorio dei magistrati



di Francesco Siciliano
(Avvocato del Foro di Cosenza)


La recente riforma in tema di disciplina degli illeciti dei magistrati e relative sanzioni ha introdotto all’art. 13 la seguente disposizione normativa: “Art. 13. Trasferimento d’ufficio e provvedimenti cautelari - 1. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nell’infliggere una sanzione diversa dall’ammonimento e dalla rimozione, può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia. Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall’articolo 2, comma 1, lettera a), nonché nel caso in cui è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni.- 2. Nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’ammonimento, su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in via cautelare e provvisoria, può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato”.

La norma ha pertanto introdotto un istituto cautelare con cui, su richiesta del Ministro della Giustizia e del Procuratore Generale (titolari dell’azione disciplinare), la Sezione Disciplinare del CSM può anticipare gli effetti della decisione finale disponendo il trasferimento del magistrato incolpato ad altra sede o ad altre funzioni; affinché ciò possa accadere è comunque necessario che sussistano gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza.

Sul punto i primi commentatori hanno avuto modo di affermare che i provvedimenti cautelari previsti e disciplinati dall’art. 13 in commento siano stati ricalcati sullo schema della giustizia cautelare amministrativa.

In ogni caso sul particolare problema conviene procedere per gradi secondo elementari regole dell’ermeneutica applicando cioè alla disposizione normativa la interpretazione letterale unita alla c.d. mens legis e successivamente le ulteriori regole sull’interpretazione delle norme quali l’interpretazione sistematica, quella estensiva o restrittiva e quella analogica ecc..

Sotto il primo profilo, trattandosi di decreto legislativo, bisogna spostare l’attenzione alla legge 150 del 2005 di Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico.

Sulla mens legis basta andare sul link della Camera dei Deputati per capire quanto poco intellegibile sia stata la volontà del legislatore, soprattutto con riferimento all’iter di approvazione della legge caratterizzato, come noto, da rilievi incostituzionalità dell’allora Presidente della Repubblica di guisa che la discussione parlamentare sembra essere stata tutta incentrata sullo svuotamento della funzione legislativa e sull’approvazione della legge sulla base della posizione della fiducia.

In definitiva i dubbi di costituzionalità della legge più che essere superati sulla base di discussioni parlamentari sembrano essere stati caratterizzati dalla questione di fiducia che di fatto ha posto il parlamento nella strettoia del sostegno all’esecutivo.

Più indicativa sembra essere invece l’interpretazione letterale della norma, unitamente a quella sistematica della medesima, posto che sotto tale profilo appare di più agevole definizione ciò che sembra essere il bene fondante su cui viene costruita la materia dell’illecito disciplinare del Magistrato e la correlativa previsioni di sanzioni.

Illuminante in tale direzione sembra essere la definizione che l’art. 1 della legge dà dei “doveri del magistrato”.

In tale norma si afferma che: “Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni. 2. Il magistrato, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”.

Principio fondante, quindi, sotto il profilo oggettivo della tutela che la legge intende apprestare, attraverso la previsioni di sanzioni, sembra essere pertanto “il prestigio dell’istituzione [rectius: funzione] giudiziaria” prima che quella del decoro del magistrato.

Invero continuando nella lettura della legge si percepisce abbastanza chiaramente che l’elencazione dei casi che danno luogo ad ipotesi di illeciti disciplinari oltre che inficiare il comportamento del singolo magistrato costituiscono tutte ipotesi in cui, comunque, viene compromesso il prestigio e la credibilità della funzione giudiziaria.

Se questo è il c.d. bene tutelato dalla norma che, seppure non assimilabile, alla norma penale quale espressione del bene giuridico protetto, comunque, in quanto espressione di applicazione di una sanzione connessa ad un comportamento che viola un precetto, sottende necessariamente la tutela di un bene giuridico.

Tale bene giuridico va necessariamente individuato nel decoro e nel prestigio dell’istituzione giudiziaria.

Tale conclusione sembra d’altra parte legittimata dalla interpretazione sistematica che ogni interprete deve dare del testo normativo ciò nel senso che la norma non essendo isolata, ma inserita in un sistema unitario e concluso, “va colta nelle sue connessioni con altre norme ed in particolare deve armonizzarsi con i principi fondamentali che assicurano l’intima coerenza dell’ordinamento considerato” (così, ad esempio, l’interprete dovrà sforzarsi di trarre dal testo una norma che sia in armonia con i principi costituzionali) (cfr T. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè, pag. 120 e ss.).

Da tale regola ermeneutica e dalla vigenza degli articoli che vanno dal 101 al 110 della Costituzione Repubblicana si inferisce che il legislatore non abbia e non possa avere voluto in alcun modo contraddire gli articoli 101, 102, 104 e 107.

Più in particolare tale affermazione vuole significare le seguenti considerazioni:

a) ogni comportamento sanzionabile e previsto espressamente dagli articoli 1 e 2 del Dlgs 109 del 2006 è necessariamente espressione di violazione, in tale comportamento, da parte del Magistrato, non di una regola di interpretazione e di un cattivo uso del suo potere discrezionale nell’ambito del suo libero convincimento (regola che evidentemente e ovviamente vale anche per il PM giusto il disposto dell’art. 107 ultima alinea), ma di una norma di legge posto che il magistrato è soggetto soltanto alla legge e, pertanto, al di fuori dei casi in cui commetta fatti o atti rientranti in fattispecie di reato, il suo comportamento, intanto assume valore di illecito disciplinare, in quanto costituisca violazione di legge e sia sovrapponibile alle fattispecie enumerate dall’art. 2 del Dlgs; in ogni caso fuori dai casi in cui il comportamento o l’atto in questione non possa essere inteso quale limpida applicazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale. In altri termini e più esemplificativamente ogni comportamento che rientri perfettamente in quelli previsti dalla legge e sia compiuto in aderenza ad una interpretazione della medesima a cui non sia ad essa attribuito altro senso “che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” non potrà mai essere sanzionato quale illecito disciplinare;

b) tale ultima conclusione trova il suo fondamento in un’altra considerazione di rango costituzionale atteso che a mente dell’art. 102 Cost “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura” e, pertanto, non può esistere un giudice che, al di fuori della valutazione di comportamento rientrante nelle fattispecie di cui al Dlgs che sia espressione di interpretazione di norme in violazione dell’art. 12 Disp. L.G., possa, quale giudice straordinario o speciale, valutare il libero convincimento del magistrato nell’ambito di atti previsti dalla legge nella sua corretta interpretazione.

Se, invero, fosse possibile, a titolo esemplificativo, che altro il giudice disciplinare potesse valutare sotto il tale profilo il merito di atti di un magistrato (p.m. o giudicante) comunque previsti dalla legge, ci si troverebbe in presenza della creazione di un giudice straordinario o speciale, diverso dal giudice del gravame (perfettamente costituzionale in quanto distinto dal primo giudice solo per funzione), legittimato eccezionalmente a valutare il merito di un atto di un magistrato quantunque questo sia in linea con lo sbarramento di cui all’art. 12 delle preleggi.

In conclusione di tale approccio dogmatico al problema può, quindi, affermarsi che il giudice disciplinare in ogni caso valuta innanzitutto la violazione di legge da parte del magistrato che con i suoi atti (o comportamenti) necessariamente non conformi alle regole ermeneutiche di cui all’art. 12 delle preleggi, abbia comunque violato i suoi doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni (cfr art. Dlgs. 109 del 2006) ovvero abbia con i suoi atti ancorché legittimi …[compromesso ndr] la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria (cfr art. Dlgs. 109 del 2006).

In tale direzione, quindi, la norma, interpretata alla stregua delle previsioni superprimarie di cui agli invocati articoli della Costituzione Repubblicana, pone due regole fondamentali che disegnano la legittimità sotto il profilo disciplinare di atti o comportamenti dei magistrati: atti comunque conformi alla legge nella sua interpretazione aderente ai dettami dell’art. 12 preleggi e comportamenti che non ledano i doveri del Magistrato e il prestigio della istituzione (rectius: funzione) giudiziaria.

Più volte nel corso della trattazione si è insistito molto sul concetto di funzione e non di istituzione atteso che tale distinzione ha un valore costituzionale e serve meglio a distinguere gli uomini dalla funzione alla cui tutela ovviamente deve tendere la norma.

In altri termini la Costituzione Repubblicana non pone alcuna guarentigia per il magistrato in quanto funzionario dello Stato (né, allo stesso modo, le guarentigie dei parlamentari difendono il parlamentare in quanto tale quanto piuttosto la funzione di rappresentante del popolo nell’esercizio della funzione legislativa) quanto piuttosto una guarentigia per la funzione che esso esercita posto che l’art. 104 stabilisce espressamente che “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

In tale direzione, pertanto, non potrà mai costituire atto che inficia il prestigio dell’istituzione giudiziaria la commissione di reati da parte del singolo magistrato ( e ovviamente l’indagine sui medesimi con i correlativi atti di indagine) posto che questi non è il bene tutelato dalla norma quanto la sua funzione che, di contro, riceve giovamento e lustro dall’eventuale individuazione di magistrati che nell’esercizio della funzione giudiziaria ( unico bene tutelato a livello costituzionale) commettano reati.

Né, allo stesso modo, il giudice disciplinare può, in tale veste, essere il giudice di valutazioni di merito su indagini a carico di magistrati perché così facendo diverrebbe un giudice straordinario o speciale vietato dalla Costituzione atteso che, anche per i magistrati, valgono le ordinarie regole del codice di procedura penale qualora altro magistrato compia a suoi danni un atto non contrario alla legge ma eventualmente censurabile dinanzi ai giudici del gravame.

Allo stesso modo, va detto che, opinare diversamente e, quindi, ritenere ammissibile un c.d. giustizia domestica quando l’indagato sia un magistrato (con intervento disciplinare teso a valutare il merito dell’atto di indagine) violerebbe gli articoli 3 e 25 della Costituzione creando disparità di tutela per i cittadini oltre che distogliere l’indagato dal suo giudice naturale precostituito per legge (arg. ex art. 25 Cost.).

Individuati i capisaldi della legge giova porre particolare attenzione alla previsione di cui all’art. 13, secondo comma, Dlgs. 109 del 2006 nella parte in cui prevede provvedimenti cautelari a carico del magistrato incolpato.

Il procedimento previsto per l’applicazione di tali misure sembra ricalcato sullo schema della sospensione dell’atto amministrativo atteso che con onere a carico del Procuratore Generale o di magistrato del suo ufficio devono essere allegati oltre che gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare anche particolari motivi di urgenza.

Tali due elementi sembrano ricalcare perfettamente i concetti di fumus boni iuris e periculum in mora.

Tale ultima conclusione sembra ancora una volta dettata dai principi valevoli per l’interpretazione della legge ricavati dalla migliore dottrina e dalla costante applicazione dei principi della Corte Costituzionale in tema di interpretazione della legge (cfr ex plurimis Corte Cost. 21 ottobre 2005, n. 394 … Attraverso l’interpretazione sistematica delle norme che regolano i rapporti genitori-figli si individua la regola iuris cui l’interprete deve attenersi in sede di applicazione concreta, nel rispetto del principio di responsabilità genitoriale, che impone la soddisfazione delle esigenze della prole a prescindere dalla qualificazione dello status della stessa) ciò nel senso che i concetti di gravi elementi di fondatezza e particolari motivi di urgenza non possono ricalcare lo schema delle misure cautelari penali quanto piuttosto quello di una decisione del Giudicante interinale e strumentale alla decisione di merito.

Sotto tale profilo, pertanto, giova porre l’attenzione su cosa debba intendersi nello specifico del processo disciplinare per fumus boni iuris e periculum in mora.

Come ogni buon giudicante bisogna partire dal concetto di periculum in mora molto più complesso da delineare rispetto a quello del fumus boni iuris o di gravi elementi di colpevolezza più agevole da individuare alla stregua della sussistenza del diritto e, se volete, dei gravi indizi di colpevolezza (si è preferito il primo concetto posto che, ovviamente, se invece la scelta fosse caduta sulle misure cautelari penali quale elemento di sistematicità a cui rapportare la previsione dell’art. 13 ovviamente ci troveremmo di fronte ad una valutazione di periculum incentrata sul pericolo di reiterazione del comportamento o atto che condurrebbe a concludere per l’incostituzionale previsione di un giudice straordinario.

Spiego meglio l’inciso. Se infatti la richiesta cautelare attenesse al pericolo di reiterazione di un atto di un Magistrato valutato contrario ai doveri di cui all’art. 1 Dlgs 109/2006 – si pensi all’ipotesi di attualità della richiesta per il Procuratore di Salerno – si dovrebbe necessariamente concludere per l’incostituzionalità della norma posta l’esistenza di un giudice straordinario che distoglierebbe gli indagati del Procuratore di Salerno dal suo giudice naturale e dai gravami previsti dall’ordinamento, intervenendo nel merito degli atti cimpiuti dal giudice naturale al posto di altro giudice naturale che è quello del gravame avverso tali atti).

Posta, pertanto, la necessità costituzionale di individuare il periculum in mora quale elemento diverso dal merito dello specifico procedimento cautelare e, pertanto, quale periculum di cui può essere portatore il titolare dell’azione disciplinare intesa quale azione posta a tutela della funzione giudiziaria, non resta che ancorare tale pericolo al bene giuridico che la norma (Dlgs 109 del 2006) sembra tutelare che è necessariamente quello del prestigio dell’istituzione (rectius: funzione) giudiziaria.

In altri termini l’elemento di particolare urgenza che il Procuratore Generale della Corte di Cassazione o il Ministro della Giustizia potranno allegare all’atto di incolpazione deve necessariamente attenere ad atti o comportamenti che mettono in pericolo il prestigio della funzione giudiziaria e richiedono, proprio perché sussistente l’urgenza, una delibazione sommaria – quali quelle previste in ogni provvedimento d’urgenza del nostro ordinamento – piuttosto che una delibazione piena presa a seguito del procedimento ordinario.

A questo punto del discorso sembra potersi concludere che affinché si abbia trasferimento cautelare ai sensi dell’art. 13 secondo comma Dlgs 109 del 2006 e che questa previsione, nonché la sua applicazione pratica, sia compatibile con l’art. 107 della Costituzione, è necessario non solo che ci si trovi in presenza di un atto o comportamento del magistrato che rientri perfettamente nelle ipotesi di cui agli articoli 1 e 2 del Decreto ma oltretutto, quando si tratti di atto compiuto, che quest’ultimo sia contrario alla legge che lo prevede nella sua interpretazione ai sensi dell’art. 12 delle preleggi e che, allo stesso tempo, ponga un problema che investa il prestigio, la credibilità e l’imparzialità della funzione giudiziaria nel suo complesso.

Cosa dire: auguri alla Sezione Disciplinare del CSM, poiché nelle ipotesi di atti compiuti dal Magistrato non costituenti reato sarà davvero molto difficile individuare e motivare la sussistenza del periculum in mora.



12 commenti:

Besugo ha detto...

un bel tacer non fu mai scritto

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
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Con riferimento alla "guerra tra Le Procure di Salerno e Catanzaro"

....dello scontro tra le Procure che il capo dello Stato giudicò "senza precedenti".

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Siamo forse al primo atto della resa dei conti?

Auguri alla Sezione Disciplinare, al vice Presidente ed al Presidente del CSM

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Comunque vada sarà molto deprimente per il nostro Paese.

Stefano
Genova

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Mi sembra sufficientemente evidente che nella fattispecie non c'è nè "fumus boni iuris" e meno che mai "periculum in mora".
Sì, siamo alla resa dei conti fra certa magistratura e certa politica con cert'altra magistratura, che oggi sembra diventata minoritaria, quella magistratura che coltiva ancora l'illusione che "La legge è uguale per tutti".
Ciò che mi turba di più è il ruolo che sta svolgendo nella situazione il Capo dello Stato, ruolo che si riesce appena ad intuire e che non appare saggio disvelare oltre, sia pure nel campo meramente ipotetico, ma che non esito a definire sconcertante.
E' questo il momento del buio delle coscienze , del tramonto delle illusioni, delle cocenti disillusioni.
Non pensavo che mi dovesse accadere di nutrire simili sentimenti e invece sono una cruda realtà che solo chi non vuol vedere non vede.

Anonimo ha detto...

E' un'autentica vergogna!

Gennaro Giugliano ha detto...

http://212.162.68.20/notizia.asp?newsid=100181

Il Csm respinge la richiesta di ricusazione di Apicella

Se questa notizia è confermata,penso sia estremamente triste come epilogo,magari appena vi è possibile ( per la redazione) qualche chiarimento ed approfondimento sull'argomento,grazie e buon lavoro

Besugo ha detto...

CHI BEN COMINCIA E' A META' DELL'OPERA

DE MAGISTRIS : NO CSM A RICHIESTA APICELLA

AMEN

Anonimo ha detto...

Dall’Ansa di oggi
“Il collegio presieduto da Anedda ha bocciato la richiesta di ricusazione in quanto i difensori di Apicella che l' hanno presentata non erano legitimati a farlo perché- è stato spiegato - non avevano un "esplicito mandato", trattandosi di un diritto personale della parte. Stamani, Apicella ha presentato una propria istanza di ricusazione che è stata rigettata "perché manifestamente infondata".

Mi ricorda una fiaba di Fedro

Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, si ritrovarono a bere nello stesso ruscello. Il lupo era più a monte, mentre l'agnello beveva a una certa distanza, verso valle. La fame però spinse il lupo ad attaccar briga e allora disse: "Perché osi intorbidarmi l'acqua?"
L'agnello tremando rispose: "Come posso fare questo se l'acqua scorre da te a me?"
"E' vero, ma tu sei mesi fa mi hai insultato con brutte parole".
"Impossibile, sei mesi fa non ero ancora nato".
"Allora" riprese il lupo "fu certamente tuo padre a rivolgermi tutte quelle villanie". Quindi saltò addosso all'agnello e se lo mangiò.

Sarà molto difficile combattere un lupo così affamato!

La solidarietà è totale a chi difende ancora quel poco di giustizia che alcuni magistrati eroi nutrono nei confronti della comunità.
Coraggio!

Eleonora

Besugo ha detto...

errata corrige

DE MAGISTRIS : NO CSM A RICHIESTA APICELLA

Anonimo ha detto...

Credo che la maggior parte di noi non coltivasse troppe illusioni...
Se qualcuno della Redazione o degli utenti è in grado di smentire o confermare la notizia che Anedda fosse presente (pur non avendone titolo) alla seduta della prima commissione nella quale furono uditi "predisciplinarmente" per così dire i magistrati di Salerno e di Catanzaro (notizia diffusa dal blog di Carlo Vulpio, non smentita e già citata da altra utente del blog), lo pregherei di postare la notizia al più presto.

Avvilito

BESUGO 2 ha detto...

qualsiasi decisione prenderanno sarà deprimente e dannoso per il nostro paese. La soluzione sarebbe di ridare il fascicolo a DE MAGISTRIS non lo faranno mai si sputanerebbero da soli

Anonimo ha detto...

Gia in passato ho invitato a non santificare......
ma così.....per mera ipotesi....
e se ci fosse altro?
può darsi che un comportamento attuale che il CSM ritiene di sanzionare sia sommato anche a comportamenti passati.....o attuali ma riferentesi ad altri episodi......
Apicella non è uno sprovveduto e già in passato aveva ricevuto qualche archiviazione dal CSM.
Non sempre si può parlare chiaro e da quelle Stanze è notorio che non è dato conoscere. Ciò però non significa che Apicella sia l'Enzo Tortora di turno.......

Mathilda

Anonimo ha detto...

Il tribunale delle toghe somiglia sempre di più alla la Santa Inquisizione. Il diritto ed i fatti non sembrano avere alcun peso nel giudizio, tutto è teso a portare a termine un teorema già deciso in precedenza. Sussistono dei conflitti di interesse enormi, e, a quanto sembra, il principio di terzietà del giudice non è rispettato. Si ha la sensazione che qualsiasi cosa il Csm decida viene portata fino in fondo, scavalcando qualsiasi norma, qualsiasi legge. Il tutto nella più assoluta opacità.

Sembra che la finalità ultima sia gettare discredito sui magistrati che indagano sulle trame di potere deviato.

Non si capisce peraltro con quale legittimità il Guardasigilli si mette a sindacare sul merito dell’ordinanza di perquisizione di Salerno.

Mentre l’accusa del CSM e del Guardasigilli - nei confronti dei magistrati di Salerno - va avanti, il tribunale del Riesame di Salerno, organo giurisdizionale, dà ragione ai magistrati incolpati dai summenzionati organi “politico”- giudiziari (CSM, Ministero di giustizia).

L’organo preposto a vagliare il contenuto dell’ordinanza è il Tribunale del riesame di Salerno che, a quanto pare, risulta aver accolto l’impostazione della Procura di Salerno. Infatti si legge sul Blog di Travaglio Applausi, siam fascisti): “[..] il Riesame di Salerno, unico tribunale abilitato a giudicare il merito del sequestro delle carte Why Not, lo conferma in toto[..]”.

Attendiamo trepidanti un nuovo articolo di D’Avanzo magari dal titolo “La giustizia sta facendo il suo corso!”

Besugo ha detto...

Sono certamente l’ultimo individuo al mondo, il grado di formulare un pensiero critico su questa tragedia nazionale che sta macerando i fondamenti costituzionali della nostra casa comune.

Mi sia concesso di confrontare il mio pensiero con quanti “postano” e “bloggano” su questo sito.

Da un punto di vista meramente schematico, il nodo del contendere mi pare, consista nella valutazione del comportamento professionale del Capo della Procura di Salerno e di due suoi PM, nei confronti dei colleghi della Procura di Catanzaro, ovvero se nell’agire verso i colleghi della Procura di Catanzaro, essi abbiano rispettato le procedure secondo i dettami rigorosi della legge vigente, o abbiano invece agito secondo criteri arbitrari e quindi illegittimi.

I trascorsi esistenziali eprofessionali dei singoli magistrati, possono conferire lustro o nocumento al singolo personaggio, nel senso di configurare una descrizione funzionale alla difesa o invece all’accusa. Ma non ritengo possano essere determinanti sulla valutazione degli atti formali che in questa vicenda hanno determinato i fatti, valutati in giudizio.

Questo “processo” non mi risulta essere un processo fondato su indizi, ma fondato su “fatti” documentati. E resto sbalordito dal fraseggio mediatico che straordinariamente incontestato, è volto a mescolare fatti e illazioni, in modo inestricabile per le persone semplici.

Ormai penso che stiamo precipitando (metaforicamente) in un buco nero, dove anche la luce non può più riflettersi e quindi liberarsi.

Quello che accade fisicamente ai buchi neri è inevitabilmente la catastrofe.

Prima o poi avrà da essere, volenti o nolenti.

Non resta che Augurarmi…..

Buona Fine!