martedì 27 gennaio 2009

"Mamma,Cicco mi tocca!"




di Pierluigi Fauzia
(Studente universitario)




Il gioco delle tre carte è semplice: si deve indovinare quale delle tre carte coperte è l’asso (o la regina a seconda delle varianti).

Il problema è che non ci riesce quasi nessuno, dal momento che il cartante, spesso, l’asso lo nasconde dentro la manica. Con buona pace del pollo che è stato spennato.

Penserete: “Si va bene,ma ormai non ci casca più nessuno! Lo sanno tutti che chi vince è complice del cartante e che è un gioco da bari!”

Invece le cose non stanno proprio così.

Infatti accade che il gioco delle tre carte ce lo fanno ogni giorno, e ogni giorno molti incauti polli ci cascano regolarmente.

Molti di voi avranno sentito parlare dello “stupro di Capodanno” come l’hanno ribattezzato i media.

Per chi non ne fosse a conoscenza è successo che durante il veglione di Capodanno tenutosi alla nuova fiera di Roma,una donna è stata picchiata e violentata da un “uomo”.

Sciascia avrebbe inserito quest’“uomo”, probabilmente, nella categoria dei “quacquaraqua: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre ...”.

Io, personalmente, lo catalogo nella specie criminale deteriore: per me lui e gli stupratori in genere sono e restano la feccia dell’umanità.

Il 22 gennaio un ventiduenne si costituisce e confessa di essere l’autore della violenza. Lo stesso giorno a breve distanza di tempo, sempre nella stessa area geografica, si consumano altri due stupri ancora più efferati.

L’occhio di bue del faro mediatico torna a concentrarsi sul tema della sicurezza.

Solita costernazione, soliti titoli in prima pagina, solita rabbia, solita girandola di dichiarazioni.

Di nuovo, ed ahimè eterno, c’è solo il dolore delle vittime e dei loro familiari: lo straziante vuoto che tale violenza lascia dentro e per tutta la vita.

A questo punto chiedo a tutti di fermarsi ed immaginare lo stupro (e ancor peggio lo stupro di gruppo) della propria sorella, della propria madre, della propria ragazza o della propria figlia, e di farlo compiutamente: attimo per attimo, barbaria dopo barbaria. Immaginate le risate dell’aguzzino, il suo scherno, le mani che stringono il suo corpo, il sudore altrui che brucia come acido sulla pelle.

Mi viene da vomitare. E non è così per dire.

Adesso immaginate come ci si deve sentire a vedere l’autore di questa violenza che, seppur reo confesso, gode del “privilegio” degli arresti domiciliari.

Ditemi se riuscireste a sopportare la rabbia,se non sentite la collera montare dentro di voi.

Non pensate adesso che un giudice, perchè estraneo e obbligato ad applicare la legge, sia anche insensibile a questo tipo di pulsioni.

Spesso, infatti, si scambia l’imparzialità del giudice con una sua asserita imperturbabilità interiore, qualità che si addice senz’altro più ad uno Überman.

Egli è e resta pur sempre un essere umano; anche lui, come gli altri, mosso e condizionato da passioni.

Ed è questo, più di ogni altro, che acuisce il suo dramma.

Molti, infatti, hanno dimenticato la lezione del Calamandrei: “Il vero «dramma» non è quello che ogni tanto riappare, con questo titolo nel romanzo o nel tatro, e che si impernia quasi sempre su un urto enfatico tra i doveri dell’ufficio e le passioni dell’uomo: come la vicenda in cui il pubblico ministero è chiamato senza saperlo ad accusare il figlio ... Meno romanzesca e più dimessa è la mestizia che alimenta il dramma giornaliero del giudice. Il dramma del giudice è la solitudine: perchè egli, che per giudicare deve essere libero da affetti umani e posto un gradino più dei suoi simili, raramente incontra la dolce amicizia che vuole spiriti allo stesso livello, e, se la vede che si avvicina, ha il dovere di schivarla con diffidenza, prima di doversi accorgere che la muoveva soltanto la speranza dei suoi favori, o di sentirsela rimproverare come tradimento alla sua imparzialità. Il dramma del giudice è la quotidiana contemplazione delle tristezze umane, che riempiono tutto il suo mondo: dove non trovan posto le faccie amabili e riposanti dei fortunati che vivono in pace, ma solo le facce dei doloranti, sconvolte dal livore del litigio o dall’avvilimento della colpa ...”.

Insomma, al giudice spetta il dovere di essere impopolare anche a se stesso, financo di far torto al proprio senso di giustizia se la legge glielo impone.

Perchè è il giudice che è soggetto soltanto alla legge e non il contrario.

In ciò sta il suo essere bouche de la loi: il giudice la regola la trova, non la crea.

Per cui mi sembra l’ennesimo gioco delle tre carte, come già lo è stato con il GIP di Verona Piziali, il tentativo di crocifiggere il GIP Marina Finiti di Roma perchè ... ha applicato la legge del Parlamento!

Infatti, com’è noto, le misure cautelari proprio perchè cautelari, non hanno e non possono avere la funzione di anticipare la pena di un soggetto che fino a sentenza definitiva si presume non colpevole.

Per disporre una misura cautelare, sull’indagato devono pendere gravi indizi di colpevolezza (leggi: deve essere preso con le mani nel sacco) e deve sussistere almeno una (meglio se più d’una) delle tre esigenze cautelari, ovvero pericolo di inquinamento probatorio (l’imputato ha confessato!),oppure pericolo di fuga (il che significa che se non è trovato con i documenti falsi addosso, unica prova liquida idonea a dimostrare che voglia sottrarsi alle indagini, non si può in altro modo provare che voglia fuggire) o pericolo di reiterazione di reati della stessa specie o altri gravi reati elencati tassativamente (purtroppo è incensurato e ha collaborato dimostrando, o perlomeno facendolo credere, di essere tanto pentito).

Ma va bene immaginiamo che sussista il pericolo di fuga.

D’altronde una misura cautelare è stata irrogata.

Bene, pur essendoci tutti questi elementi, il giudice non può scegliere la misura cautelare che ritiene a suo giudizio più idonea, ma deve, nella scelta tra le varie misure (che vanno dal divieto di espatrio alla custodia in carcere), farsi guidare dai principi di adeguatezza e proporzionalità; non solo: se nonostante tutto il GIP continua a ritenere che la misura più idonea sia la custodia cautelare in carcere, egli deve spiegare perchè (nel caso concreto e alla luce delle esigenze cautelari evidenziate) ha scelto proprio il carcere e non altre misure meno afflittive.

Insomma secondo i nostri politici, il GIP avrebbe dovuto disporre la custodia in carcere motivando che anche se l’imputato ha confessato e quindi non ha possibilità di inquinare le prove, anche se è incensurato e quindi non si può provare che sia uno stupratore seriale o un delinquente abituale, e anche se non c’è (o se c’è, è scarso) pericolo di fuga (l’avete visto mai uno che vuole scappare e si costituisce?), deve andare in carcere perchè alla luce delle esigenze cautelari evidenziate dal caso concreto (sic!) questa risulta essere l’unica misura idonea.

Tanto al Tribunale del riesame mica ci devono andare loro.

E così accade che il Ministro della Giustizia invia i suoi ispettori a controllare la regolarità del provvedimento,affermando che: “Qualunque siano state le valutazioni che hanno portato a questa decisione, rimane lo sconcerto perchè si tengono in modesto conto la gravità del fatto e il rispetto della dignità della vittima di un così odioso e devastante reato, dalle gravissime conseguenze psicologiche per la personalità di una giovane donna”.

Il Sindaco di Roma Gianni Alemanno afferma: “È un segnale sbagliato quello che la magistratura ha lanciato concedendo gli arresti domiciliari al ragazzo accusato dello stupro alla Fiera di Roma”.

Il Ministro dell’Interno afferma: “È una brutta notizia, nei casi che suscitano allarme la risposta delle istituzioni e dei magistrati deve essere di massimo rigore. Io l’avrei tenuto in carcere perché una scelta simile è forte e serve da deterrente. Ho già predisposto un sistema di sicurezza e sorveglianza nei confronti di questo signore per evitare che esca o scappi. Sono decisioni che mi permetto di contestare in quanto vanno nel segno opposto a quelli che sono i nostri obiettivi”.

E allora delle due l’una: o non sanno di che parlano, e allora deduciamo che la classe politica è incompetente in materia; o lo sanno e allora le esternazioni possiamo ricondurle al fenomeno, assai diffuso in verità, del paraculismo.

Tertium non datur.

Le vedete adesso le tre carte?

Purtroppo la verità è che il c.p.p. rende praticamente inirrogabile la custodia cautelare in carcere per tutti, per garantire tale inirrogabilità solo ad alcuni.

Ma mi scappellerei, perfino, se avessimo una classe politica in grado di dirlo chiaramente e di assumersene la responsabilità.

Tuttavia dal momento che alla classe dirigente di questo paese la parola responsabilità causa l’allergia, ci si trova ad avere bisogno di un capro espiatorio, una vittima sacrificale a cui affibbiare le colpe del mondo.

In un paese normale il dibattito sarebbe incentrato sul come mai un Parlamento ha emanato una legge così perversa da impedire, anche in casi così eclatanti, la custodia cautelare in carcere.

In un paese normale la stampa massacrerebbe Governi e Parlamenti colpevoli di tanto lassismo.

In un paese normale.

Ma noi che ci accontentiamo di essere il bel paese, della normalità, dopo tutto, possiamo anche farne a meno.

Ma chi glielo spiega a lor signori, che il codice di rito penale se proprio non gli piace, lo possono cambiare e che il giudice, invece, questo c’ha e questo deve applicare?

Tutto ciò mi ricorda una filastrocca siciliana: “Mamma Cicco mi tocca! Toccami, Cicco, che mamma non c’è ...”.



8 commenti:

Anonimo ha detto...

D'accordo sulla logica d'insieme di questo post.
Devo però far notare (come ha fatto anche, più autorevolmente, Stefano Racheli nell'altro post di oggi) che se il P.M. chiede i domiciliari, il GIP tecnicamente non può applicare la custodia cautelare in carcere. Ciò sposta un pochino i termini empirici del problema... ma lasciamo stare, per carità, io non voglio entrare nel merito, non mi interessa. La verità che il popolo ignora, e che biblicamente andrebbe proclamata dai tetti, è che non si può fare al tempo stesso i garantisti e i securitari, finché c'è il principio di uguaglianza (e forse anche il popolo si augura che detto principio continui a valere). Purtroppo sui tetti ci sono molte antenne televisive e si stenta a poggiare il piede per proclamare le verità.
E. Anastasio

francesco siciliano ha detto...

MI piace potere intervenire manifestando stima e condivisione al post del dott. Anastasio: si chiama, qualcuno la chiama, TELECRAZIA. Purtroppo la TELECRAZIA ha già abrogato l'art. 3 e gli articoli 101 e 107 Cost ( con qualche comlice.....). Speriamo di riuscire a resistere

Anonimo ha detto...

Chiedo scusa, solitamente mi firmo.
Chiedo scusa se ora non lo faccio perché è per me un argomento molto difficile. Non avrei nulla di che vergognarmi, ma non è facile da spiegare cosa si prova.
Fortunatamente non mi è mai successo, ma è la cosa (l'unica cosa) che temo di più al mondo. Anche se non ci sono numeri statistici tali da renderlo probabile (per fortuna).
Avrò probabilmente dei problemi psicologici rispetto ad altre donne che vivono la vita in maniera più serena e tranquilla. Ma ogni volta che ci penso non riesco a non capacitarmi del fatto che per quanto trasporto si possa avere la metà delle persone che incontro nella vita non potrebbero mai capire veramente di cosa si tratta, poiché di genere maschile.

Tutti i giorni ci sono stupide battutine -innocenti di per sè, anche se non innocue- su ogni piccolo evento, comportamento, abbigliamento, dialogo e quant'altro una donna qualunque possa fare nella sua quotidianità. Solo in un senso, anzi: solo in un genere.

Io non so e non credo che sopravviverei. E' per me una fonte insopportabile di dolore ogni notizia di cronaca che riguardi l'argomento, ogni notizia di guerra, ogni immagine narrata in un film o in un libro, anche solo per denuncia o per pura creazione letteraria e culturale.
Non mi è mai successo, e non so se sopravviverei. Ma penso di essere molto più vicina a quelle donne di tanti altri che non possono capire. Ciò che provo io, da estranea ai fatti, è talmente forte che non so rendermi conto. Più volte, ascoltando i tg, mi è capitato di chiedermi cosa farei io e mai -mai- prima di ieri mi è capitato di pensare che farei qualsiasi cosa diversa dal rinchiudermi in casa (che dico in casa? in camera!) a chiave e non parlare né vedere più nessuno. Nemmeno i miei affetti più cari.
Eppure ieri, all'ascolto dell'ennesimo tg in cui davano notizia dei domiciliari, e senza neppure attendere le reazioni dei politici che ho così bene immaginato pur senza averli sentiti, un moto profondo di ribellione, di rabbia, di fuoco mi ha pervasa. Ho istintivamente visto le immagini di tante donne e ragazze che testimoniano con la voce modificata elettronicamente, nascoste dietro un cappuccio, le ho viste a volto scoperto, piene di cicatrici. Mi ci sono vista anch'io in mezzo. Davanti a una conferenza stampa. Davanti ai giornalisti. A parlare chiaro e forte, con gli occhi puntati addosso a giornalisti e telecamere. Sicure, senza un solo tentennamento. E dicevano: "io mi rifiuto di essere strumentalizzata e calpestata di nuovo: so che il mio è un caso statisticamente non sufficiente a richiedere l'esercito nelle strade, copertura per sicure altre macchinazioni. E so che se i nostri legislatori (politici) facessero il loro dovere e scrivessero leggi che servono a garantire una certezza della pena invece che a scarcerare quanti più se stessi possibile, anche i criminali comuni avrebbero maggiormente paura della giustizia italiana. E ne succederebbero di meno, se non altro."

Poi ho immaginato il volto della madre del ragazzo reo-confesso. E non ho osato immaginarne il cuore.

Poi ho sentito una frase, che veniva dall'ultimo eco del tg, e diceva "in Italia ci vorrebbe un militare per ogni BELLA donna".
E non ho parole per descrivere cos'ho provato.

Chiedo scusa per l'interruzione, spero di non aver disturbato. Non scriverò più. Non così in ogni modo.

Anonimo ha detto...

A me sembra che il fatto grave sia, come sottolinea giustamente Stefano Racheli, che LA POLITICA E’ ENTRATA A GAMBA TESA NELL’ESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE e che si utilizzi la emotività della gente per sferrare l’ennesimo colpo al principio democratico della separazione dei poteri.

La gravità questo ennesimo attacco alla indipendenza della magistratura, politico e mediatico insieme, non mi consente di concentrarmi sulla questione del garantismo eccessivo, o meno, della normativa attuale in materia di misure cautelari, né di disquisire sul carattere odioso e spregevole del reato di cui si parla.

Anzi, ritengo che approfittare della naturale reazione forte che provoca nel popolo la commissione di questo tipo di reato verso il colpevole e strumentalizzarne la vittima per colpire, peraltro senza alcun fondamento, ancora una volta la magistratura mi sembra un colpo basso e meschino, una mossa davvero più spregevole di quel reato.

E rende palese quanto di corsa si stia procedendo verso la realizzazione di quel piano che tanti anni fa fu ritenuto eversivo, e che ora non scandalizza più nessuno
Anna

Anonimo ha detto...

Gentile Anonima delle 16.10, complimenti, hai scritto delle cose vere e toccanti. Hai tutta la mia solidarietà!
E' tutto così triste nel nostro paese. E ancor più triste è che a non accorgersene sono rimasti soltanto i mostri al potere.
b

sara ha detto...

comlimenti per l'articolo!
Effettivamente le disposizioni penali nel nostro Paese sono insoddisfacenti sotto molti punti di vista.
Senza arrivare alla violenza sessuale, situazione estrema e terribile, anche lo stolking, o le molestie contro le donne, rimangono sostanzialmente impunite.
Tanto rumore e tanto sdegno di fronte ai fatti di cronaca e poi più niente...

Anonimo ha detto...

Concordo con chi pensa che la cosa veramnte grave sia il fatto che la politica, ultimamente, voglia "giudicare" l'operato della magistratura infrangendo uno dei principi fondamentali della democrazia, quello della separazione e indipendenza dei poteri. E' FONDAMENTALE CHE OGNUNO STIA AL SUO POSTO E FACCIA QUELLO CHE PREVEDE IL SUO RUOLO!

Pierluigi Fauzia ha detto...

Egregio Giudice Anastasio,

Grazie della puntualizzazione.

Ciò che volevo evidenziare era che nel caso di specie,per quanto limitata sia la nostra conoscenza sul caso,appare ictu oculi evidente che non ci siano i presupposti per un'ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Il problema,ha colto pienamente ciò che volevo esprimere,è che non si può essere garantisti a corrente alternata,soprattutto se tale atteggiamento è mosso da malafede.

Cara anonima delle 16.10

Mi ha toccato molto leggere il suo intervento.Grazie delle sue parole.


Egregia Anna ed egregio anonimo delle delle 19.01

Anch'io ritengo che si tratti di un tentativo di preparare il terreno ad un'ennesima tabula rasa.

Per questo mi ricorda la filastrocca di "Mamma Cicco mi tocca".

Cordialmente

Pierluigi Fauzia