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di Felice Lima
(Giudice del Tribunale di Catania)
Ho scritto qualche giorno fa un articolo – “Il C.S.M. e Clementina Forleo: ovvero dei pessimi rapporti fra il potere e la legge” – per illustrare la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha dichiarato illegittimo e annullato il provvedimento con il quale il Consiglio Superiore della Magistratura ha trasferito Clementina Forleo dal suo ufficio di G.I.P. del Tribunale, utilizzando illegittimamente per farlo la procedura di cui all’art. 2 della Legge sulle guarentigie della magistratura (R.D.L.vo 31 maggio 1946, n. 511).
Quella sentenza (che può essere letta a questo link) fa fare, per molte evidenti ragioni, una pessima figura al C.S.M. e ai consiglieri che hanno votato la delibera illegittima.
L’annullamento della delibera è stato accolto – come sempre, negli ultimi anni, in questi casi – dal più ostinato silenzio in tutti i luoghi di comunicazione interni alla magistratura.
Unica lodevole e preziosa eccezione un importante comunicato di Magistratura Indipendente, che si può leggere a questo link. I consiglieri di Magistratura Indipendente, peraltro, e gliene va dato merito, furono gli unici a votare, al C.S.M., contro la delibera illegittima (preciso, per quelli che cercano appartenenze dapperutto, che io non sono iscritto ad alcuna corrente e non ho alcun rapporto con Magistratura Indipendente).
A fronte di questo “assordante silenzio” (come lo chiama opportunamente Magistratura Indipendente), la corrente Movimento per la Giustizia pubblica sul suo sito un comunicato a firma dei suoi consiglieri al C.S.M. Ciro Riviezzo, Mario Fresa e Dino Petralia, con il quale si tenta di dare una giustificazione formale/legale alla decisione illegittimamente adottata in danno di Clementina e si annuncia il ricorso al Consiglio di Stato (sull’abitudine del C.S.M. di ricorrere quasi sempre avverso le sentenze che dichiarano illegittimi i suoi provvedimenti ho scritto nel già citato articolo “Il C.S.M. e Clementina Forleo: ovvero dei pessimi rapporti fra il potere e la legge”).
Questo comunicato merita un commento, per farne emergere la palese infondatezza tecnico giuridica. Cosa che fa una certa impressione, se si considera che gli aderenti alla corrente Movimento per la Giustizia (corrente alla quale sono stato vicino per tantissimi anni prima che diventasse quello che è oggi) si sono sempre fatti vanto di avere come valore fondante una cultura del rispetto della legge e delle regole, che evidentemente con il passare degli anni sembra essersi molto appannata.
Il comunicato dei consiglieri del Movimento può essere letto a questo link, sul sito della corrente, o a quest’altro su Google Documenti. Per brevità, non lo riporto e rinvio i lettori ai siti testé indicati.
Per comodità di esposizione, articolerò per punti separati l’analisi delle opinioni dei consiglieri Riviezzo, Fresa e Petralia.
PRIMO.
La prima cosa da osservare è che i tre consiglieri del Movimento elencano in tre punti le ragioni poste dal T.A.R. a fondamento della decisione di annullamento, ma quello che loro indicano come punto 2 è, nella sentenza del T.A.R., cosa assai diversa da come la sintetizzano loro.
Scrivono i cons. Riviezzo, Fresa e Petralia con riferimento a questo aspetto della vicenda che «l’annullamento della delibera del C.S.M. si basa su tre motivi: (…) 2) l’interpretazione della locuzione “piena indipendenza ed imparzialità” contenuta nella medesima norma».
Ma la sentenza del T.A.R. non contesta al C.S.M. l’interpretazione della locuzione «piena indipendenza ed imparzialità» del magistrato, ma lo specifico vizio di difetto di motivazione sul punto e, per di più, la violazione della legge e non sotto il profilo della interpretazione del testo (come vorrebbe il Movimento per la Giustizia), ma sotto quello della applicazione sostanziale di un testo precedente e ormai abrogato.
In sostanza, non “interpretazione”, ma puramente e semplicemente “violazione” di legge.
La cosa appare di tutta evidenza semplicemente leggendo il paragrafo della sentenza del T.A.R., che dice testualmente (alle pagg. 20 e 21):
«2.2 Il Collegio ritiene che non sussista nemmeno l’altro presupposto della fattispecie, vale a dire l’impossibilità per il magistrato di svolgere, nella sede occupata, le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità, per cui anche la relativa censura si rivela fondata.
Il complesso degli elementi a base del provvedimento adottato, infatti, non fornisce un’esauriente spiegazione sulla plausibilità del verificarsi di un tale effetto.
I rilievi contestati alla dott.ssa Forleo, secondo il C.S.M., “dimostrano un rapporto con l’ufficio di Procura caratterizzato da eccessiva disinvoltura e contrario ai più comuni canoni deontologici nonché potenzialmente indicativo di un pregiudizio accusatorio all’evidenza incompatibile con l’imparzialità richiesta al giudice nell’esercizio delle sue funzioni”.
Purtuttavia, tale conclusione non appare coerente con le premesse, in quanto non sono comprensibili le ragioni per le quali - dalle dichiarazioni rese in trasmissioni televisive o alla stampa concernenti l’esistenza di poteri forti che, anche per il tramite di soggetti istituzionali, avrebbero interferito (o tentato di interferire) sull’esercizio delle funzioni giurisdizionali del magistrato, ovvero dai rilievi mossi ai pubblici ministeri preposti alle indagini relative alla cosiddetta “scalata BNL” - dovrebbe evincersi l’impossibilità di svolgere le funzioni magistratuali con indipendenza ed imparzialità nella sede di Milano.
Diversamente, atteso che nella proposta di trasferimento approvata dal Plenum, è stato precisato che “l’interpretazione di tali vicende da parte della dott.ssa Forleo e - ciò che qui interessa - le dichiarazioni pubbliche da lei rese al riguardo sono tuttavia, all’evidenza, gravemente sproporzionate rispetto ai fatti emersi così da procurare un allarme nei colleghi e un discredito anche della magistratura milanese obiettivamente infondati” e che gli atteggiamenti della dott.ssa Forleo sono “tali da determinare contrasti, conflitti e sospetti nei confronti dei magistrati di uffici con lei in contatto anche nella sede giudiziaria milanese”, sembra che nella valutazione dei presupposti sia stata data rilevanza alla possibilità di amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario, interesse tutelato nella precedente formulazione della norma, piuttosto che alla possibilità di svolgere le funzioni con piena indipendenza ed imparzialità, interesse tutelato nella vigente formulazione della norma.
Ne consegue che, anche con riferimento a tale aspetto, in assenza di una plausibile ragione per la quale i fatti indicati nel provvedimento in esame possano far ritenere pregiudicata, nella sede occupata, la possibilità di svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità, risulta violato il principio di legalità e di tipicità degli atti amministrativi, in quanto l’amministrazione ha applicato l’art. 2 R.D.Lgs. 511/1946 in carenza degli elementi costitutivi della relativa fattispecie».
Appare chiarissimo, insomma, che, diversamente da quanto sostenuto dai consiglieri del Movimento per la Giustizia, il T.A.R. non ha dissentito dal C.S.M. su «l’interpretazione della locuzione “piena indipendenza ed imparzialità” contenuta nella medesima norma», ma ha rilevato come, anche se si volesse seguire la tesi – ritenuta dallo stesso T.A.R. illegittima – della applicabilità al caso della collega Forleo della procedura di cui all’art. 2 L.G., il C.S.M. non avrebbe comunque offerto alcuna «plausibile ragione per la quale i fatti indicati nel provvedimento in esame possano far ritenere pregiudicata, nella sede occupata, la possibilità di svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità» e per questo, dunque, risulterebbe violato sotto altro ulteriore profilo – rispetto a quello della inapplicabilità della procedura ex art. 2 L.G. – «il principio di legalità e di tipicità degli atti amministrativi».
Stupisce non poco che consiglieri del C.S.M. e iscritti al Movimento per la Giustizia convertano una censura di illegittimità tanto precisa e grave da parte del T.A.R. in un semplice dissenso sulla interpretazione da dare a questa parte della norma in discussione. E così facendo finiscano con il tacere del tutto su questo rilevante e da sé solo decisivo profilo di illegittimità della loro delibera, motivo che da sé solo imporrebbe il riconoscimento da parte loro del proprio torto e non certamente il ricorso al Consiglio di Stato.
La grande confusione fatta nel comunicato dei consiglieri del Movimento su questo aspetto della questione emerge chiaramente dal seguente brano dello stesso: «Per quanto riguarda la nozione di “indipendenza ed imparzialità”, se è vero che essa è più ristretta di quella precedente che si riferiva al “prestigio”, tuttavia deve necessariamente comprendere tutte quelle conseguenze dei fatti accertati che impediscono al magistrato di esercitare, in un determinato luogo o in una determinata funzione, in modo adeguato la funzione giudiziaria, che ha - appunto - nel suo nucleo essenziale l’indipendenza e l’imparzialità. Si noti che non è richiesto che sia provato che il magistrato sia non “indipendente o imparziale”, ma solo che non possa esercitare le funzioni con piena indipendenza o imparzialità. Un concetto, quindi, diverso, che comprende in sé anche quelle ipotesi - certo gravi - di incapacità o di comportamenti discutibili, anche se non disciplinarmente rilevanti, che generano sconcerto in un determinato ambiente giudiziario e sociale e pongono il magistrato in condizioni di non poter più esercitare in quella sede e/o in quelle funzioni con “piena indipendenza e imparzialità”».
Nonostante lo sforzo del T.A.R. di spiegarlo e la chiarezza della motivazione che ho riportato sopra, i consiglieri del C.S.M. continuano a non chiarire per quale ragione comportamenti «non disciplinarmente rilevanti, che generano sconcerto in un determinato ambiente giudiziario e sociale» dovrebbero porre – senza altra ragione addotta che questa – «il magistrato in condizioni di non poter più esercitare in quella sede e/o in quelle funzioni con “piena indipendenza e imparzialità”».
Detto ai consiglieri del Movimento in parole ancora più semplici: per quale ragione il fatto che Tizio dica o faccia qualcosa che «genera sconcerto» (??!!) (concetto del tutto fumoso e imprecisato) nonostante non sia disciplinarmente censurabile dovrebbe significare che Tizio non è in grado di svolgere le funzioni «con “piena indipendenza e imparzialità”»?
Domanda che resta senza risposta e la mancanza di risposta alla quale sembra avere unico fondamento nel fatto che il C.S.M., per trasferire Clementina ex art. 2, ha “deciso”, senza saperne o volerne dare – né prima né dopo la sentenza del T.A.R. – «una plausibile spiegazione», che quello che “sconcerta” alcuni lede l’indipendenza per definizione, così che si può usare l’art. 2, che, a leggerlo con attenzione anche superficiale, non dice che può essere trasferito “il magistrato che sconcerta” o, detto più chiaramente, il magistrato che “non piace” a questo o a quello.
SECONDO.
Ma questa attitudine a tacere sulle questioni in campo riguarda anche un altro passo del comunicato che sto commentando.
Quello in cui i consiglieri del Movimento, dopo avere indicato come terzo motivo di annullamento del T.A.R. «la partecipazione al processo decisionale della consigliera Vacca, che era stata ricusata, e la cui ricusazione era stata dichiarata inammissibile», tacciono rigorosamente su questo aspetto della questione, archiviandolo con un «Prescindendo dal terzo punto, che pone un problema procedurale, ma che è più legato alla vicenda concreta, gli altri due punti inducono a riflessioni che hanno valenza generale, e che pertanto meritano di essere approfondite».
Ora, è particolarmente imbarazzante che, anticipando il ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del T.A.R. che tanto gravemente stigmatizza il comportamento del C.S.M., si “prescinda” da uno dei punti decisivi – come ciascuno degli altri due – della controversia.
Sarebbe stato bello, infatti, e forse anche doveroso, che i consiglieri del Movimento per la Giustizia che si fanno carico di commentare la sentenza del T.A.R. dicessero qualcosa anche di questa parte della sua motivazione, che da sé sola, se fondata, come appare, imponeva l’annullamento della delibera. E prima ancora imponeva ai cons. Riviezzo, Fresa e Petralia di votare contro di essa.
Invece, tocca accontentarsi. Non sapremo cosa pensa il Movimento per la Giustizia di questo aspetto increscioso della vicenda, perché si tratta solo (sic!) di «un problema procedurale, ma che è più legato alla vicenda concreta».
In sostanza, secondo i cons. Riviezzo, Fresa e Petralia il fatto:
- che la vicepresidente della commissione del C.S.M. che doveva giudicare la collega Forleo ha fatto dichiarazioni palesemente ostili contro la stessa, anticipando il giudizio suo e di tutta la commissione sul caso (rinvio sul punto al mio scritto “Clementina Forleo e tutti noi avremmo diritto a un “giudice” imparziale”);
- che poi la stessa vicepresidente ha ugualmente partecipato alla decisione dello stesso caso;
- che poi il C.S.M. ha dichiarato tranquillamente inammissibile la ricusazione che invece il T.A.R. dichiara legittima;
è solo «un problema procedurale, … legato alla vicenda concreta»!!!
Dunque, non è necessario che loro ne parlino!!??
E va aggiunto anche che, purtroppo, con riferimento a questo aspetto della controversia NON E’ VERO PER NIENTE quello che dicono i consiglieri Riviezzo, Fresa e Petralia quando affermano testualmente nel loro comunicato che questa parte della sentenza del T.A.R. «pone un problema procedurale, ma che è più legato alla vicenda concreta».
Perché, invece, proprio al contrario, il T.A.R. pone un problema NON PROCEDURALE ma SOSTANZIALE e pone un problema nient’affatto legato – come sostiene il Movimento per la Giustizia – alla vicenda concreta, ma di carattere generale.
La cosa è spiegata in maniera chiarissima nel punto 3 della sentenza del T.A.R., alle pagg. 21-23 della motivazione.
Ciò che è accaduto, dal punto di vista dei principi generali e del rispetto della legge, è che il C.S.M. ha affermato che l’istituto della ricusazione non sarebbe applicabile ai procedimenti amministrativi e che può decidere di essi anche chi, come la prof. Vacca, abbia dimostrato in maniera clamorosa i propri pregiudizi sul caso sottoposto alla sua responsabilità.
Il T.A.R. si è dovuto fare carico di chiarire al C.S.M., in diritto (ed è l’ennesima lezione di diritto che il T.A.R. è costretto a dare a chi il diritto dovrebbe, invece, conoscerlo molto bene), che:
«… l’obbligo di astensione nei procedimenti amministrativi va verificato con riferimento alle fattispecie circostanziate e tipizzate dall’art. 51 c.p.c. e deve essere comunque riferibile ai fatti specifici destinati a formare oggetto del successivo apprezzamento imparziale (Cons. Stato, IV, 3 marzo 2006 n. 1035).
In particolare, l’imparzialità dell’organo deliberante è garantita dall’applicazione dei criteri desumibili dall’art. 49 T.U. n. 311957 e, prima ancora, dall’art. 51 c.p.c., i quali impongono l’astensione al componente dell’organo collegiale che versi in situazione di inimicizia personale nei confronti del destinatario del provvedimento finale o abbia manifestato il suo parere sull’oggetto di questo al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni procedimentali (Cons. Stato, IV, 7 marzo 2005, n. 867).
Ne consegue che l’istanza di astensione/ricusazione non poteva essere legittimamente dichiarata inammissibile, tanto più che gli apprezzamenti diffusi a mezzo stampa sul magistrato interessato nel corso del procedimento sono stati resi dal Vicepresidente della Prima Commissione, la Commissione che, in quanto competente sulle procedure di trasferimento ai sensi dell’art. 2 R.D.Lgs. 511/1946, ha formulato la proposta di trasferimento della dott.ssa Forleo, per cui appare arduo ipotizzare che l’inosservanza dell’eventuale obbligo di astensione da parte del componente del Consiglio non abbia potuto produrre un’alterazione del procedimento, traducendosi in un vizio di legittimità del provvedimento finale».
E la cosa ha valenza generale non solo perché si tratta di principi di diritto, ma perché anche in altre occasioni il C.S.M. – questo C.S.M. e anche, fra gli altri, proprio il consigliere Fresa – ha dichiarato inammissibili istanze di ricusazione: da ultimo nel procedimento – NON amministrativo ma addirittura GIURISDIZIONALE – a carico dei colleghi di Salerno.
Dunque, davvero appare clamoroso il tentativo dei consiglieri del Movimento di glissare su una cosa tanto rilevante e tanto grave, sostenendo contro ogni evidenza che si tratti solo «un problema procedurale, … legato alla vicenda concreta».
Laddove i componenti del C.S.M. e, fra loro, anche quelli del Movimento della Giustizia che si fanno carico di commentare la sentenza del T.A.R. che ha dichiarato illegittimo il loro provvedimento, dovrebbero provare a prendere atto che non dovrebbe accadere ciò che più volte invece è accaduto. Ossia che membri del C.S.M. facciano dichiarazioni alla stampa nelle quali esprimono i più diversi e violenti giudizi su questo o quel magistrato e poi lo giudichino.
Dovrebbero provare, in sostanza, a ritenersi anch’essi soggetti alla legge e applicare a sé quei principi deontologici e addirittura giuridici che dicono di volere insegnare ai magistrati. Chi deve giudicare di qualcosa, deve mantenere rispetto ad essa una serenità, un distacco, una imparzialità, una indipendenza che sono l’esatto opposto di quello che tutti abbiamo visto accadere nella vicenda Forleo – e non solo (basti pensare alle dichiarazioni rese alla stampa da membri del C.S.M. sulla vicenda di Salerno e su quella di Luigi De Magistris) - e che il T.A.R. ha indicato come illegittimo.
TERZO.
La tesi giuridica relativa all’ambito di applicabilità dell’art. 2 della legge sulle guarentigie sostenuta dal Movimento per la Giustizia è palesemente priva di fondamento.
Sarò breve e, per necessità, più sintetico possibile.
La storia dell’art. 2 ai fini che qui interessano è la seguente.
Prima della riforma introdotta dal D.L.vo 23 febbraio 2006, n. 109, la responsabilità disciplinare dei magistrati non era tipizzata.
Era illecito disciplinare genericamente tutto quello che arrecava pregiudizio al prestigio dell’ordine giudiziario.
Dunque, era il C.S.M. che volta per volta decideva – con molta, troppa libertà – cosa arrecava pregiudizio al prestigio dell’ordine giudiziario e cosa no.
In tempi passati, per esempio, è stato ritenuto arrecare pregiudizio al prestigio dell'ordine giudiziario anche avere una relazione sentimentale extraconiugale o altre cose simili. Perché era una cosa che “sconcertava”, come direbbe il C.S.M. di oggi.
Con la recente riforma, il legislatore ha indicato espressamente cosa è disciplinarmente punibile.
Dunque, oggi le condotte dei magistrati o rientrano nella previsione della legge come disciplinarmente censurabili oppure no.
Nel primo caso, i magistrati potranno essere puniti e, se del caso, anche trasferiti.
Nel secondo caso no.
Parallelamente è stato modificato l’art. 2 della legge sulle guarentigie.
La versione precedente diceva che i magistrati potevano essere trasferiti in via amministrativa «quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario».
La versione attuale dice che i magistrati possono essere trasferiti «quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialita».
Dunque:
1. non più “anche” indipendentemente da colpa, ma solo indipendentemente da colpa;
2. non più con riferimento al tema del prestigio dell’ordine giudiziario, che veniva in discussione per la valutazione di censurabilità disciplinare o no della condotta del magistrato, ma con riferimento alla «piena indipendenza e imparzialità».
Per avere una idea pratica di quando, oggi, può essere utilizzata la procedura di cui all’art. 2 (a parte il caso delle incompatibilità di cui agli artt. 16, 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario, espressamente citato dalla norma), si pensi all’ipotesi di un Procuratore della Repubblica il cui figlio sia incriminato per gravi fatti penalmente rilevanti che coinvolgono vicende di una certa eco nel circondario.
Le colpe del figlio non possono essere fatte ricadere sul genitore, che, dunque, è incolpevole, ma può essere trasferito se il coinvolgimento di questo figlio lo mette in una condizione nella quale la sua indipendenza e imparzialità non sono o non appaiono più garantite.
I consiglieri del Movimento per la Giustizia vogliono invece utilizzare l’art. 2 per trasferire magistrati che abbiano fatto cose disciplinarmente NON censurabili, ma che, a insindacabile modo di vedere del C.S.M. – nel caso di Clementina Forleo del tutto senza motivazione, dice il T.A.R. –, creino dubbi sulla loro indipendenza e imparzialità.
L’infondatezza di questa pretesa emerge, anzitutto, dal fatto che è proprio lo stesso C.S.M. a smentire sé stesso e i cons. Riviezzo, Fresa e Petralia perché è proprio lo stesso C.S.M. che ha scritto, nella sua risoluzione del 24 gennaio 2007, che invito a rileggere a questo link, afferma testualmente che: «L’istituto [dell’art. 2] è stato, peraltro, significativamente modificato dall’art. 26, primo comma, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 e attualmente, in forza di tale modifica, il trasferimento di ufficio dei magistrati può essere disposto solo «quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa (essi) non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità», mentre è stato previsto il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato come misura cautelare e provvisoria applicabile nel procedimento disciplinare, su istanza del Procuratore generale della Corte di cassazione o del Ministro della giustizia, dalla Sezione disciplinare del Consiglio (art. 13, secondo comma, decreto legislativo n. 109 cit.). L’area di operatività del trasferimento di ufficio in via amministrativa è stata in tal modo ampiamente ridotta e ricorre ora - come chiarito dal Consiglio con la risoluzione 6 dicembre 2006 - esclusivamente quando la situazione presa in esame: «a1) non risulti sussumibile in alcuna delle fattispecie disciplinari delineate dal decreto legislativo n. 109/2006 ovvero a2) non risulti riconducibile a comportamenti del magistrato».
E tanto il C.S.M. lo ha capito bene che non può più fare quello che i cons. Riviezzo, Fresa e Petralia voglio continuare a fare che quella risoluzione del 24 gennaio 2007 serviva proprio a chiedere al Ministro della Giustizia di promuovere un cambiamento (!!!) della legge che permettesse di fare quello che ora è vietato e che il C.S.M. fa lo stesso.
Tentano di sostenere i consiglieri del Movimento per la Giustizia che questa richiesta del C.S.M. al Ministro sarebbe stata fatta solo «per maggiore chiarezza» della norma. Ma questo NON E’ PER NIENTE VERO e ciò emerge in tutta evidenza dalla semplice lettura della risoluzione del C.S.M. testé citata, nella quale viene chiesto al Ministro non un chiarimento ma una RIFORMA e la riforma normativa viene chiesta spiegando molto chiaramente che senza di essa ciò che il C.S.M. ha fatto e i consiglieri del Movimento vorrebbero continuare a fare è vietato dalla legge.
E’ scritto, fra l’altro, nella risoluzione del C.S.M.: «Di qui l’urgenza di segnalare al Ministro della giustizia, per le sue valutazioni (anche nell’ambito delle proposte di modifica dell’Ordinamento giudiziario in corso di definizione) l’opportunità di reintrodurre strumenti attivabili d’ufficio idonei ad attribuire al Consiglio, in sede di amministrazione della giurisdizione, un potere di intervento su situazioni oggettivamente pregiudizievoli della «fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità di essa» (secondo l’espressione della Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981) più incisivo e di maggiore portata di quello configurato dall’attuale art. 2 legge guarentigie. Tale esigenza, da cui non si può prescindere per assicurare all’organo di governo autonomo adeguati meccanismi di intervento in contesti di rilevante compromissione dei valori connessi alla funzione giudiziaria, può, evidentemente, essere concretizzata secondo una pluralità di modelli».
E qui è il succo di tutta la storia e il cuore nevralgico della partita che si è giocata dal C.S.M.!
Il legislatore ha deciso che deve essere stabilito per legge cosa i magistrati possono fare e cosa no.
E’ conseguenza logicamente inevitabile che quello che la legge non prevede come disciplinarmente censurabile è DEL TUTTO LEGITTIMO.
E dunque il magistrato non può subirne conseguenze negative che intacchino la sua prerogativa di inamovibilità prevista dall’art. 107 della Costituzione.
Io magistrato, quindi, ho una legge che mi dice cosa posso fare e cosa no.
Rispetto quella legge e sto tranquillo.
Il C.S.M. pretende, invece, di potermi ancora trasferire adducendo come motivo condotte da me mantenute che non violano le norme disciplinari, ma, secondo l’insindacabile giudizio del C.S.M., che, infatti, neppure lo motiva, farebbero venire meno la mia indipendenza e la mia imparzialità.
Questa pretesa incostituzionale (dal combinato disposto degli artt. 107 della Costituzione e 2 della legge sulle guarentigie) del C.S.M. va contrastata per due ottime ragioni.
La prima relativa al fatto che è bene che i poteri del C.S.M. restino chiari e definiti in maniera sicura.
Se, infatti, un domani la composizione del C.S.M. venisse cambiata e in esso aumentati i membri di nomina politica – come chiesto da tanti al potere, di destra e di sinistra – sarà importante che il C.S.M., da chiunque composto, debba agire nel rispetto della legge e della Costituzione e non si arroghi poteri che non ha.
La seconda relativa al fatto che anche oggi, nella composizione attuale, non è bello per nulla e, per usare la stessa espressione contenuta nel comunicato del Movimento per la Giustizia, “sconcerta” moltissimi, che il C.S.M., facendo dell’art. 2 l’abuso denunciato dal T.A.R., si attribuisca nella sostanza il potere – che, né la legge né la Costituzione gli attribuiscono – di “cacciare” i magistrati che non gli piacciono o che fanno cose che non gli piacciono (benché disciplinarmente ineccepibili) o che non piacciono alla cons. Vacca o a chissà chi.
La partita è quindi quella per un C.S.M. che esercita un potere definito dalla legge e nel rispetto della Costituzione e non un potere assoluto e padronale, come lo vogliono coloro che hanno oggi importanti responsabilità nel potere interno alla magistratura.
Quello che, purtroppo, è accaduto nel “potere interno” della magistratura è una cosa speculare a quanto accaduto nel “potere esterno”: la pretesa di chi lo detiene di esercitarlo come assoluto e non soggetto a regole precise, ma solo a generiche e imprecisate dichiarazioni di intenti, da adattare alle esigenze politiche contingenti del momento.
Il comunicato dei consiglieri del Movimento per la Giustizia, come la loro condotta nella procedura a carico di Clementina Forleo, ne sono l’ulteriore riprova.
E d’altra parte appare evidente come sia illogico e paradossale quello che pretendono i consiglieri del Movimento per la Giustizia.
Il paradosso sta nella situazione a cui darebbe luogo un sistema come quello da loro propugnato.
La legge consente il trasferimento dei magistrati come pena disciplinare accessoria solo in presenza di certi presupposti.
Dunque, perché il C.S.M. possa trasferire un magistrato che ha commesso fatti disciplinarmente censurabili, è necessario:
a) che il Procuratore Generale promuova l’azione disciplinare (che il C.S.M. non può promuovere da sé);
b) che si celebri un processo disciplinare con le garanzie difensive proprie dello stesso;
c) che ricorrano i presupposti previsti dalla legge perché il trasferimento sia consentito.
Se quello che sostengono il Movimento per la Giustizia e i suoi consiglieri avesse una qualche fondamento, il C.S.M. potrebbe, invece, trasferire un magistrato che non ha commesso nulla di disciplinarmente censurabile:
a) di propria iniziativa;
b) senza le garanzie di un processo disciplinare;
c) per condotte che sono disciplinarmente incensurabili;
d) al di fuori di qualunque altro presupposto che non sia che al C.S.M. sembra che quella condotta che il legislatore ritiene non censurabile fa venir meno l’indipendenza e imparzialità del magistrato.
In sostanza, fra un magistrato che ha messo in atto condotte disciplinarmente censurabili e un altro che ha messo in atto condotte disciplinarmente NON censurabili, ma che non piacciono alla prof. Vacca o che “sconcertano” non si sa bene chi, si troverebbe MEGLIO e con più garanzie e avrebbe meno probabilità di essere trasferito quello che ha commesso i fatti disciplinarmente censurabili.
Un assurdo assoluto!
E bisogna chiedersi, d’altra parte: quando a qualcuno del C.S.M. non piacesse questo o quel magistrato, il C.S.M. che linea di condotta sceglierebbe fra attendere che il Procuratore Generale promuova l’azione disciplinare, celebrare il relativo processo, rispettare le dovute garanzie difensive, ecc., e trasferire, invece, in quattro e quattr’otto il magistrato senza tutte queste formalità, dicendo solo che si è creata una situazione che “sconcerta”?
E per avere un’idea di quanto il C.S.M. sia incline alla seconda opzione, basti pensare che pratiche ex art. 2 sono state immediatamente aperte a carico di Clementina Forleo, Luigi De Magistris, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani e Luigi Apicella, nonostante fossero già pendenti nei loro confronti i processi disciplinari e, dunque, in violazione ancora più clamorosa dell’art. 2.
Un sistema come quello appena delineato sarebbe veramente del tutto illogico e non si comprende come si possa avere la pretesa di invocarlo da parte del Movimento per la Giustizia.
Messo in chiaro questo, sorprende che i consiglieri del Movimento, non avendo evidentemente proprio nient’altro altro a cui appigliarsi, finiscano con l’invocare, a sostegno delle loro tesi, l’art. 97 della Costituzione.
I “non addetti ai lavori” sappiano, infatti, che l’art. 97 della Costituzione dispone che «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
Giudichino i non addetti ai lavori (che gli addetti già lo sanno benissimo) se questa norma dia più fondamento alle tesi che ho esposto qui io, che ha affermato il T.A.R. con la sua sentenza e che ha confessato lo stesso C.S.M. con la risoluzione del 24 gennaio 2007 richiamata sopra, oppure alle tesi dei consiglieri del Movimento per la Giustizia.
Giudichino se l’organizzazione «secondo disposizioni di legge», «il buon andamento e l’imparzialità» della giustizia, di cui all’art. 97, siano assicurati meglio da un sistema nel quale le ragioni per le quali si può cacciare un magistrato siano previste in maniera specifica dalla legge o quello voluto dal Movimento per la Giustizia, nel quale se Massimo D’Alema si secca perché le sue telefonate imbarazzanti finiscono in un processo, è sufficiente che la prof. Vacca convochi i giornalisti e dica loro che sei “cattivo” e che l’apposita commissione del C.S.M. ha già deciso che sarai “colpito” (parole testuali quelle fra virgolette!) e, senza troppe formalità, senza neppure le garanzie di un processo disciplinare, con quello che i cons. Riviezzo, Fresa e Petralia reputano (bontà loro) solo un piccolo «problema procedurale» (sic!) e senza una motivazione che non sia il ricorso a una formuletta di stile (il T.A.R. ha parlato di assenza nel provvedimento annullato di una qualche «plausibile ragione») il C.S.M. ti sbatte da un’altra parte (francamente viene quasi da dubitare dell’autenticità del comunicato pubblicato dai consiglieri del Movimento, tanto è paradossale).
Giudichino, insomma, i non addetti ai lavori se l’art. 97 della Costituzione non sia vulnerato di più proprio dalla delibera illegittima del C.S.M. che dalla sentenza del T.A.R..
E giudichino, infine, i non addetti ai lavori a quale delle due tesi in contrapposizione dia conforto l’art. 107 della Costituzione, che dispone che «I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso».
I consiglieri del Movimento per la Giustizia ricorrano pure al Consiglio di Stato, ma si rassegnino al fatto che il diritto e la Costituzione non gli riconoscono – per fortuna – il potere che pretendono e che purtroppo si sono illegittimamente arrogati in danno di Clementina Forleo, concorrendo ad adottare la delibera annullata dal T.A.R..
Sarebbe bello, comunque, se, nell’attesa delle modifiche legislative che hanno chiesto al Ministro, rispettassero la legge vigente.
E’ vero che è cosa non frequente in questo Paese, ma dal C.S.M. lo si dovrebbe potere ragionevolmente pretendere. Tanto più da un C.S.M. che trasferisce i magistrati scomodi dicendo che lo fa per dare lezioni di rispetto della legge e di professionalità.
QUARTO.
Tutto ciò detto sulle questioni tecniche, c’è, nel comunicato dei consiglieri del Movimento per la Giustizia, un passaggio “politico” davvero sorprendente nella sua gravità.
Scrivono, infatti, i cons. Riviezzo, Fresa e Petralia:
«Se sarà confermata la tesi del TAR, i dirigenti, seppure palesemente incapaci, dovranno restare al loro posto fino alla scadenza del quadriennio. Non ci sono altri strumenti legislativi per intervenire. Ma, ancor più, viene a cessare a monte la competenza del Consiglio a interessarsi delle vicende problematiche degli uffici in sofferenza (si pensi ai recenti casi Reggio Calabria, Potenza, per citare solo i più noti), che hanno come presupposto, al di là degli esiti, proprio la competenza ex art. 2 l.g.. E’ un vulnus alle competenze consiliari di enorme rilevanza, e, oggettivamente ed al là delle intenzioni, si inscrive in quel processo di marginalizzazione della posizione istituzionale del CSM, al quale, per la verità, anche alcuni colleghi stanno fornendo corposi contributi. Senza comprendere che al di là del Consiglio, democraticamente eletto, c’è solo la dipendenza dei magistrati dal potere politico. Quindi, chi oggi plaude alla decisione del TAR si assume la responsabilità politica delle conseguenze, dirette e soprattutto indirette, che derivano da questa interpretazione».
Quanto alla prima parte di questo brano, laddove si dice che «Se sarà confermata la tesi del TAR, i dirigenti, seppure palesemente incapaci, dovranno restare al loro posto fino alla scadenza del quadriennio», va osservato che, dunque, i consiglieri del Movimento “confessano” di utilizzare l’art. 2 della legge sulle guarentigie come strumento per rimuovere i “dirigenti palesemente incapaci”; mentre è indiscutibile che nessun riferimento alla “incapacità” c’è nell’art. 2 e, dunque, un’applicazione della norma come quella prospettata da loro e puramente e semplicemente illegittima (espressione che dovrebbe avere anche per il C.S.M. un significato univoco). E ciò senza dire che ciò di cui si sta parlando qui non è affatto la rimozione di “dirigenti palesemente incapaci”, ma quella di una collega – Clementina Forleo – non dirigente e palesemente capace.
Per di più, se il C.S.M. si impegnasse a scegliere più spesso i capi degli uffici giudiziari secondo criteri conformi all’art. 97 della Costituzione invece che secondo quello dell’appartenenza correntizia non avremmo, come dicono i consiglieri Riviezzo, Fresa e Petralia, «dirigenti palesemente [!!??] incapaci». Dunque, si deve auspicare che i consiglieri del C.S.M., invece di pretendere poteri che non hanno, esercitino bene quelli che hanno, nominando capi degli uffici capaci o almeno non «palesemente incapaci» (come vengono qualificati non da me ma nel comunicato del Movimento).
Quanto alla parte in cui si dice che «Ma, ancor più, viene a cessare a monte la competenza del Consiglio a interessarsi delle vicende problematiche degli uffici in sofferenza (si pensi ai recenti casi Reggio Calabria, Potenza, per citare solo i più noti), che hanno come presupposto, al di là degli esiti, proprio la competenza ex art. 2 l.g..», tante cose andrebbero dette, ma vale la pena di limitarsi a richiamare l’attenzione su ciò che i consiglieri del Movimento vorrebbero fosse tralasciato: proprio gli “esiti” dell’attività che rimpiangono, citando, peraltro, paradossalmente, proprio la situazione di Potenza. Se gli esiti sono quelli sotto gli occhi di tutti, non c’è da dispiacersi proprio di nulla, essendo al momento il bilancio se non totalmente almeno fortemente negativo.
L’ultima parte del brano appena citato, quella nella quale si sostiene che l’affermazione di diritto fatta dal T.A.R. sarebbe «un vulnus alle competenze consiliari di enorme rilevanza, e, oggettivamente ed al là delle intenzioni, si inscrive in quel processo di marginalizzazione della posizione istituzionale del CSM, al quale, per la verità, anche alcuni colleghi stanno fornendo corposi contributi. Senza comprendere che al di là del Consiglio, democraticamente eletto, c’è solo la dipendenza dei magistrati dal potere politico. Quindi, chi oggi plaude alla decisione del TAR si assume la responsabilità politica delle conseguenze, dirette e soprattutto indirette, che derivano da questa interpretazione», appare francamente illogica.
Infatti:
1. Non si tratta di alcuna «marginalizzazione della posizione istituzionale del C.S.M.», ma solo dell’affermazione che anche il C.S.M. dovrebbe rispettare la legge.
2. Il riferimento al C.S.M. «democraticamente eletto» è, sul punto, fuorviante. Perché, per un verso, anche il potere politico è «democraticamente eletto» e, per altro verso, come sempre i magistrati ricordano ai politici, il problema non è farsi eleggere, ma esercitare il potere ottenuto con l’elezione in maniera conforme alla legge. In sostanza è del tutto irrilevante che il C.S.M. sia «democraticamente eletto» se gli eletti non rispettano le leggi ed esercitano il loro potere al di fuori di esse.
3. Non si riesce a comprendere perché ciò dovrebbe farci andare «al di là del Consiglio», verso «la dipendenza dei magistrati dal potere politico», posto che ciò che appare è, invece, che al di là della dipendenza da un C.S.M. legibus soluto c’è puramente e semplicemente l’indipendenza dei magistrati voluta dalla Costituzione.
4. Ammesso che avesse un senso ciò che scrivono i consiglieri iscritti al Movimento per la Giustizia e che si prospetti all’orizzonte una dipendenza dal potere politico non già perchè questa è da anni la irriducibile volontà del potere politico ma per colpa di chi non accetta di farsi cacciare in silenzio, non si comprende perché dovrebbe essere considerata alternativa valida lo sfuggire a quella dipendenza accettando in cambio una identica dipendenza dal C.S.M., posto che la Costituzione non ha istituito il C.S.M. come padrone dei magistrati, ma come custode della loro indipendenza. Sicché delle due l’una: o il C.S.M. vuole ed è in grado di garantire l’indipendenza dei magistrati e allora ha un senso la sua esistenza o, invece, non vuole o non sa farlo e allora la sua esistenza è perfettamente inutile. Un C.S.M. che, per non farlo fare ai politici, caccia lui i magistrati sgraditi ai politici non serve a nulla se non a far gestire potere ai suoi consiglieri.
5. In ogni caso, come ho già detto sopra, se il C.S.M. verrà riformato e in esso avrà più potere la politica, è assolutamente indispensabile che il suo potere sia chiaramente definito dalla legge.
6. Ai consiglieri Riviezzo, Fresa a Petralia che dicono che chi difende l’affermazione di legalità contenuta nella sentenza del T.A.R. «assume la responsabilità politica delle conseguenze, dirette e soprattutto indirette» faccio notare rispettosamente che, in questo momento, se c’è qualcuno che dovrebbe assumersi le proprie responsabilità è puramente e semplicemente chi si è prestato a delegittimare il C.S.M., facendogli adottare provvedimenti illegittimi che ne hanno danneggiato l’immagine di organo tutore della legalità e che hanno gravemente vulnerato, invece di difenderla, l’indipendenza dei magistrati, facendo oggettivamente – non sta a me dire se in buona o cattiva fede – gli interessi di chi voleva fermate delle inchieste e nei fatti ha visto soddisfatti i suoi desideri.
15 commenti:
Scusatemi, è bello che qualcun altro (oltre a noi pochi) si sia schierato dalla parte della Dottoressa Forleo, ma, trattandosi di Magistratura Indipendente, non è lecito pensare che lo abbiano fatto per le solite ragioni correntizie?
Lo chiedo non in maniera provocatoria, ma per cercare di comprendere meglio quanto sta accadendo.
Grazie e cordiali saluti,
Valeria Di Muzio
http://www.adnkronos.com/IGN/Cronaca/?id=3.0.3287130215
La procura di roma ha impugnato la sentenza del riesame che dava ragione a genchi e quindi gli andavano restituiti gli archivi,invece dalla lettura di questo articolo hanno impugnato ( non so se lecitamente o no alla cassazione)
buon weekend a tutti
Per Valeria Di Muzio (commento delle 19.26).
Cara Valeria,
non sappiamo perchè lo abbiano fatto ed è possibile anche ciò che Lei ipotizza.
Ma l'"anticorrentismo" non può usare gli stessi schemi del "correntismo".
Dunque, non ci importano gli eventuali retroscena correntizi (che non possono mancare in un sistema correntizio, nel quale i consiglieri del C.S.M. non votano come vorrebbe la Costituzione, ciascuno secondo la propria personale scienza e coscienza, ma per "gruppi di appartenenza", secondo le logiche del potere) e giudichiamo i singoli fatti con riferimento alla loro oggettività.
E il comunicato di Magistratura Indipendente è oggettivamente lodevole e dice cose oggettivamente vere su questa brutta pagina del potere.
Felice Lima
Caro Felice :)
Non è una persona "comune" a seccarsi: fermati per un triennio,
il tempo che io superi il corso di specializzazione che dovrò iniziare a giorni!
L'Italia non merita le persone comuni come lo sei Tu. Bensì quelli speciali che si seccano!!!
Caro felice...
Bellissimo ed esemplare anche questo tuo ultimo articolo...
Avrei molte cose da dire...
Ora mi limito solo invece a sottolineare questo fatto e cioè che a me SCONCERTA questo comportamento tenuto dalla quasi totalità dei membri del C.S.M. ed in particolare adesso la posizione assunta dai tre consiglieri del "Movimento per l'in-giustizia" che nonostante sia chiaro della cavolata commessa dal C.S.M. rispondono chiedendo ulteriori poteri poichè ciò che vorrebbero fare loro la legge ora non glielo consente... quindi maggior poteri per poter fare ciò che LORO fa più comodo... compreso punire chi fa perfettamente il proprio dovere ma se ciò sconcerta un uomo di potere l'indipendenza del magistrato può anche andare a farsi friggere... mentre se sconcerta Salvatore D'Urso, beh poco importa, il C.S.M. magari non troverà rilevante questo mio sconcerto...
Quindi cosa è più sconcertante?...
Chi mette in dubbio il buon funzionamento delle istituzioni giudiziarie?
Il C.S.M.... secondo quanto è avvenuto negli almeno ultimi 2 anni come pure le posizioni dell'ANM su determinati fatti hanno provveduto loro per primi alla conseguente perdita di credibilità del sistema della giustizia... per chi vuole una giustizia uguale per tutti... mentre al contrario tale crediblità del funzionamento della giustizia è aumentata per chi non ha la coscienza a posto e gode di grandi poteri...
Quindi chi trasferirà mai i nostri eroi del C.S.M.?... magari essi stessi o la buona politica affinchè possano ricoprire cariche ancor più prestigiose visto il loro splendido risultato... nel far funzionare la giustizia... così come è intesa dal potere...
Non era la speranza dura a morire? Invece - per quanto è dato sapere, e "capire" - dura a morire è l'insofferenza verso il cambiamento...Vacca..."boia chi molla"!
Seppur nello "sconcerto" (procurato dal solo pensare che tutto questo posa succedere!) totale, provo ad essere imparziale.
Da Ballarò del 5 u.s., mi pare opportuno rilevare un concetto espresso dal prof. Andrea Segrè, in risposta al conduttore...: "La Speranza, è lo sdegno per quel che vediamo (che non va bene, credo) e il coraggio per cambiare (o cambiarlo)".
Nel caso in specie, pare che il Gatto(a)pardo (a secondo se riferito al Csm o - peggio - o alla Vacca...di sx?!) ci cova: tutto cambia (sulla carta?) ma a discrezione poi si può derogare.
Si conviene che la vecchia normativa consentiva, con più ampia discrezionalità, quella flessibilità tipica di applicarla con rigore al "nemico" (fuori dal coro e sensibile al raffreddore da evitare "correnti" che poi possano alterare la purezza della sua voce...) e d'interpretarla in maniera soft per l' "amico" del "gruppo di appartenenza", immunizzato, in quanto adattato da sempre agli spifferi, e tollerato anche se canta con voce alterata o impostata...da altri; purché canti e agisca in/di "concerto".
Anche se certe pratiche, persino palesi (tale è l'assuefazione), poi di fatto possano causare davvero "sconcerto" sociale.
Lo "sconcerto" che più mi ha toccato è stato per quelli che boicottavano l'ufficio della Forleo - una sorta di mobbing....che rasenta lo “stalking” (chissà se fare un pensierino, ora che è reato), e magari un po' per alcune Sue frequentazioni, obbligate in ambito territoriale ed extra, tipo la Bongiorno (ospite al suo matriminio, che ne ha approfittato per cercare di far ritirare la querela al suo collega di partito, Gasparri?) e spiace dirlo, per la sua segretaria (ligia, formale e severa?) che mi ha persino ripreso per non aver usato il condizionale, “vorrei”; impedendomi così di esprimere la mie congratulazioni a voce, in diretta. A parte il consenso e solidarietà espressi su forum, blog e su Il Quotidiano, al tempo dei fatti, ora diretto da Leporace.
Il nobel Samuelson, nell'esaltare il n/s Modigliani e suo collega, disse che a voi italiani manca lo spirito critico e di “denuncia”...
Chissà se sapesse dei risvolti per chi lo fa: io ne so qualcosa... laddove si nega l'evidenza dei fatti sono guai; può succederti quello che ha profettizzato il dr, Lima....che qualche “suo collega”, con l'aiuto di qualche avv.(dal facile 380, c.p.), ti aspetti al varco e per una multa, per una distrazione o un nonnulla te la faccia pagare...per averlo “disturbato” con qualche esposto-denuncia di troppo, che l'abbia poi “sconcertato”. Io invece, di più, resto sconvolto! Meglio essere scettici, e non cantar vittoria, di non vendere la pelle dell'orso...
Molto chiaro questo articolo. Grazie.
Io non credo che tutte queste persone siano ignoranti … e questo è molto inquietante …
Ho appena rivisto "Porte Aperte", il bellissimo film di Gianni Amelio con un immenso Gian Maria Volonte' e non ho potuto fare a meno di pensare che quei tempi sono, sia pure sotto mentite spoglie, ritornati.
Purtroppo.
A Luigi Morsello.
Caro dott. Morsello, che bella e appropriata citazione.
Un libro e un film memorabili.
E purtroppo l'amara constatazione che lei ha ragione.
Felice Lima
Caro Felice,
vorrei sottoporre alcune domande:
1) E' difficile accettare che il Giudice (PM o Giudicante) esercita un potere che gli proviene dalla costituzione e non da chi lo nomina, anche in relazione all'art.97 dimodochè egli è sanzionabile solo nei casi previsti dalla legge?
2) E' difficile accettare che la difesa di quel principio non può passare un rappresentante "forte" di quel potere ma passa esclusivamente dalle previsioni della carta Costituzionale e della legge ordinaria?
3) E' arrivato il momento che ognuno osservi la legge non solo nel senso di mancata violazione di essa ma soprattutto nel senso di esercitare i proprio poteri in osservanza proprio al fine per cui la legge assegna quei poteri?
4)E' difficile capire che il compromesso e l'agnello sacrificale indeboliscono e non rafforzano a prescindere poi dalla mancanza di corporativismo di alcuni?
Grazie
Caro Dottor Lima,
da avvocato, non mi stupisce la presa di posizione degli Consiglieri in quota MPG.
La scarsa considerazione per la legalità nelle forme del rito (quella delle notifiche, delle nullità, delle nomine dei difensori d'ufficio, del termine per le indagini preliminari ed il modello 45 ecc...) di fronte ad un merito ed una sostanza che pare esigere pronta risposta è cosa che tutti noi abbiamo imparato a conoscere non appena siamo entrati in un aula di giustizia.
L'approccio con la legalità formale di taluni (troppi) magistrati è questo (basterebbe leggere con spirito critico un repertorio della giurisprudenza per rendersene conto).
Così come è la medesima l'idea che la formazione del collegio giudicante sia irrilevante a fronte di una res judicanda che nella sostanza è formata (si pensi ai ripetuti tentantivi di parte della magistratura - sappiamo tutti quale - di sopprimere il principio di immutabilità del giudice nel corso del dibattimento).
Nihil novi sub sole.
Ho l'impressione che le correnti, su queste tematiche, non si distinguano...
Un avvocato penalista di mezza tacca
il pg Dolcino Favi, lo stesso che avocò l’inchiesta Why Not a De Magistris, ha rimosso Pierpaolo Bruni dalla DDA di Crotone. Bruni è il pm che fece arrestare più di 400 affiliati alle cosche della ‘Ndrangheta e che quando fu applicato alla Why Not, riuscì a rintracciare i collegamenti finanziari che dalla Calabria portavano alla Loggia di San Marino.
Ecco l’ennesimo pm onesto e libero, vittima dei poteri forti…
La scarsa considerazione per "la legalità nelle forme del rito" è da considerarsi una grave violazione del diritto sostanziale ,in quanto attiene alle garanzie fondamentali di un "giusto processo". Non dovrebbe mai essere trattata con superficialità e con arroganza , anche perchè è proprio violando le forme del rito che che spesso passa l'obbiettivo occulto della corruzione e della manipolazione del procedimento giudiziario. Consci di ciò parti in causa e avvocati in buona fede dovrebbero essere assolutamente intransigenti sul rispetto delle forme del rito e denunciare subito le astuzie e trappole giudiziarie che spesso si nascondono nelle pieghe di tale pressapochismo.Maria Cristina, utente del servizio ingiustizia.
Grazie, giudice Lima.
Un grande
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