venerdì 23 novembre 2018

Il vicepresidente del CSM commissario ad acta

La Redazione


Quello di ottobre è stato un mese nero per le vicende giudiziarie del Consiglio Superiore della Magistratura.

Siamo abituati alle "reprimende" del giudice amministrativo nei confronti del c.d. organo di autogoverno dei magistrati, ma questa volta il Consiglio di Stato ci è andato giù molto pesante. E non solo con le parole.

Risultati immagini per consiglio superiore della magistratura ermini vicepresidenteNeanche a dirlo, l'ambito di intervento è ancora quello delle nomine di magistrati ad incarichi direttivi e semidirettivi, quello dove ordinariamente il peso delle correnti assume più plastica evidenza.

Con una prima sentenza (n. 5962/2018 del 18.10.2018), il massimo organo della giustizia amministrativa ha qualificato "sleale" la condotta del CSM consistita nel rinnovare la nomina di una candidata a un incarico direttivo nel corso del processo in cui quella nomina era stata annullata in via cautelare e si attendeva la decisione di merito. E giù con la condanna alle spese processuali.

Un magistrato molto noto - e molto indipendente - ha da subito posto un primo fondamentale interrogativo: "può un organo costituzionale agire con slealtà nei confronti di un appartenente all'Ordine giudiziario, senza infrangere la stessa Costituzione che dell'imparzialità e del buon andamento fa addirittura principio nell'art. 97?".
E' passata meno di una settimana e per il CSM è arrivato un nuovo brutto colpo, ancora più duro.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6038 del 24.10.2018 della V sezione (che può leggersi integralmente al link in calce), ha stigmatizzato la "insistita illegittimità ed elusività del suo [del CSM] operato", in particolare per avere eluso il giudicato delle sentenze con le quali lo stesso giudice amministrativo aveva annullato le nomine niente poco di meno che di ben quattro presidenti di sezione della Corte di Cassazione, illegittimamente anteposti al ricorrente, violando gli stessi criteri che il CSM si era dato nel tanto decantato testo unico per la dirigenza giudiziaria.

La novità più eclatante, però, è che il Consiglio di Stato, tornando a censurare ancora l'insofferenza alle regole della giurisdizione dimostrata dal CSM, ha nominato il Vicepresidente dello stesso CSM commissario ad acta, incaricandolo di procedere, nello strettissimo termine di 15 giorni dalla comunicazione, alle nomine dei Presidenti di Sezione della Cassazione in sostituzione del CSM, provvedendo nel rispetto di quei criteri che l'Organo di autogoverno ha invece ripetutamente violato.

Il Consiglio di Stato ha così spiegato le ragione di tale scelta: "la rinnovazione dei giudizi a mezzo dell’apposito organo monocratico ha base anche in ragione del fatto che il margine di valutazione dell’organo di autogoverno è qui pressoché esaurito e che, anche per manifeste ragioni di effettività della tutela giurisdizionale (principio cardine di cui all'art. 1 cod. proc. amm.) qui vanno dettati modalità e criteri di riesercizio del potere".


Si tratta indubbiamente di un provvedimento eccezionale, conseguente alla "insistita illegittimità ed elusività dell'operato del CSM" e alla sua "volontà di non conformazione al giudicato", tali che - afferma il Consiglio di Stato - "si è costretti a rilevare la serietà della condotta elusiva del giudicato" e, dunque, a intervenire, nei termini sopra indicati, a salvaguardia dello "Stato di diritto", nel quale "il primato del diritto, accertato mediante sentenze passate in giudicato, vincola ogni amministrazione pubblica, quali che siano le caratteristiche o le prerogative: dunque anche l'attività di un organo di governo autonomo della magistratura".

Bisogna tenere conto, infatti, che il CSM, per gentile concessione operata in sede di conversione di un decreto-legge adottato dal Governo Renzi (decreto che aveva persino tentato di sopprimere l'eccesso di potere tra i vizi di legittimità tutelabili davanti al g.a. in relazione ai provvedimenti del CSM di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi), nelle nomine dei dirigenti e semi-dirigenti degli uffici, gode di un regime giuridico speciale in virtù del quale, diversamente dalla generalità dei casi, quale che sia l'atto e quale che sia l'organo che l'ha emesso, non trovano applicazione le disposizioni secondo cui il giudice amministrativo, quando accoglie il ricorso, "ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione".

Nell'occasione, il Consiglio di Stato critica, neppure tanto velatamente, l'introduzione di questo  nuovo "diritto singolare" introdotto "in funzione restrittiva  dei poteri del giudice dell'ottemperanza" e fissa una serie di "paletti" che devono guidarne l'interpretazione affinché lo stesso non si ponga in contrasto con il fondamentale principio di effettività della giurisdizione, necessario perché il primato della legge sia realizzato e che - afferma il massimo organo di giustizia amministrativa - "include il diritto fondamentale all'esecuzione delle decisioni di giustizia passate in giudicato".

E' certo è che un sistema in cui, nel giudizio di ottemperanza contro le decisioni del CSM, non sia riconosciuto al giudice amministrativo il potere di determinare le modalità di esecuzione del giudicato e di nominare un commissario ad acta si pone in radicale contrasto, in definitiva, con lo stesso Stato di diritto.

Appare assai confortante che il massimo organo di giustizia amministrativa ne sia perfettamente consapevole.



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