Ieri Rosario Livatino è stato beatificato.
E’ stata la prima volta nella storia della Chiesa per un
magistrato.
La cerimonia è giunta dopo che giovedì scorso, in occasione
della proiezione del docufilm a lui dedicato, il cardinale Bassetti lo haricordato, davanti ai componenti del Consiglio superiore della magistratura,
con un discorso di alto profilo, nel quale ha osservato tra l’altro che:
“Rosario Livatino è stato un appassionato difensore della
legalità e della libertà di questo Paese. Un autentico rappresentante delle
istituzioni che è riuscito a incarnare la certezza del diritto e anche la
cultura morale dell’Italia profonda: di quell’Italia che non si arrende alle
ingiustizie e alle prevaricazioni, e che non cede agli ignavi e a coloro che si
adeguano allo status quo: anche quando lo status quo è rappresentato dalla
mafia.
Senza alcun dubbio, Rosario Livatino è stato un piccolo e giovane uomo ma, al tempo stesso, è stato un gigante della verità. Un uomo che ha incarnato il Vangelo delle Beatitudini perché egli aveva “fame e sete di giustizia”.
Parole toccanti e sincere che descrivono fedelmente quello
che il giudice ragazzino è stato ed in particolare l’esempio di verità che ha
incarnato nella sua breve ma intensa vita terrena.
Nello stesso giorno alcuni soggetti istituzionali hanno voluto
commemorare il giudice di Agrigento con delle dichiarazioni che mi sono sembrate
alquanto fuori luogo.
Mi riferisco innanzitutto all’avv. David Ermini,
vicepresidente del Csm, che, nel corso dell’intervento tenuto nella medesima occasione
sopra menzionata, ha citato una riflessione piuttosto nota del magistrato siciliano: "La
credibilità esterna della magistratura nel suo insieme e in ciascuno dei suoi
componenti è un valore essenziale in uno Stato democratico, oggi più di ieri''.
Ebbene, questa massima sulla bocca del rappresentante dell’organo
di autogoverno ha suscitato in me lo stesso effetto del raschio di un’unghia
sulla lavagna.
Non ha avvertito un po’ di pudore l’avv. Ermini a parlare di
credibilità della magistratura proprio in questi giorni in cui il Csm è
investito da uno scandalo di proporzioni forse anche maggiori di quello, già
gravissimo, che appena due anni fa era stato provocato dalle chat di Luca
Palamara?
Quale credibilità può avere l’organo di autogoverno per
essere rimasto totalmente inerte nonostante, come è ormai chiaro a tutti, fosse
stato messo al corrente del contenuto dei verbali dell’avv. Amara ?
E come si può avere l’ardire di partecipare alla commemorazione
di colui che è stato definito un “gigante della verità” quando ai cittadini
italiani continua ad essere offerto da giorni lo sconcertante spettacolo di un
susseguirsi di versioni, parziali e contrapposte, su quasi tutti gli aspetti di
questa vicenda, da parte dei suoi protagonisti (anche lo stesso avv. Ermini ne
ha resa una in palese contrasto con quella del dott. Davigo)?
Ma non meno sorprendente è stata la dichiarazione del dott.
Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, che ha definito Rosario Livatino
“un simbolo, un magistrato modello al quale tutti i magistrati, soprattutto in
un momento come questo, dovrebbero fare riferimento”.
Mi chiedo infatti se il dott. De Raho avesse pensato all’esempio di Livatino anche quando si rivolgeva, in tono deferente, a Luca Palamara per avere informazioni sull'esito delle sue domande per gli incarichi di procuratore della repubblica di Napoli e di procuratore nazionale antimafia.
Alle dichiarazioni dell’avv. Ermini e del dott. De Raho, nella
settimana appena trascorsa, ha fatto da contraltare l’inspiegabile, prolungato silenzio
del Presidente della Repubblica che pure aveva partecipato alla proiezione del
docufilm su Rosario Livatino: nessun commento sulla vicenda dei verbali di
Amara e sulle sue ripercussioni sul Csm e nemmeno una parola sulla figura del
giudice ragazzino.
In effetti è sicuramente meglio il silenzio del rischio di
cadere in una retorica sterile.
Il Capo dello Stato, pur mantenendo quel silenzio, avrebbe
però potuto onorare nel migliore dei modi, ed in concreto, la memoria di
Rosario Livatino se si fosse determinato finalmente a sciogliere il Csm, data lasua conclamata impossibilità di funzionamento, come gli era stato chiesto, con grande lungimiranza, alcuni mesi fa da 130 magistrati con una lettera aperta.
Certo, si tratta di un intervento estremo ed anche traumatico
ma è ampiamente giustificato dalla gravità della situazione in cui versa l’organo
di autogoverno e sarebbe approvato dalla
stragrande maggioranza di quanti hanno a cuore le sorti della magistratura
italiana.
Con molta probabilità sarebbe apprezzato anche dalla Commissione Europea che ci tiene sotto osservazione dopo essersi giustamente allarmata per le vicende di magistropoli, tanto da averle menzionate nella relazione sullo stato di diritto 2020 dellaCommissione Europea, nel capitolo sulla situazione dello stato di diritto dell’Italia.
Un simile rimedio è infatti indispensabile per recuperare al Csm quella credibilità che ha perso da tempo e realizzerebbe appieno l’insegnamento di Rosario Livatino secondo cui: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili".
2 commenti:
Un Ricordo di Livatino in linea con quello del Cardinale Bassetti, direi.
Con la differenza, però, che i cardinali operano per bocca di Gesù; i magistrati, per bocca del Popolo. Interpreto questo scritto come: Perdonate il soldato Caifa. (Anche se, non vedo sconti neppure per Mattarella).
Sicuramente prima di parlare di Rosario Livatino bisognerebbe fare qualche piccolo esame di coscienza in quanto facilmente lo si può offendere.
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