giovedì 26 giugno 2008

L'autorizzazione a procedere


di Stefano Sernia
(Giudice del Tribunale di Lecce)



Il ricorrente ripetersi di attriti talora gravissimi tra la Magistratura ed il potere politico, il quale ultimo spesso strumentalmente taccia il potere giudiziario di perseguire disegni politici tramite un abuso delle proprie funzioni, ha portato più di un collega (da ultimo, su questo blog, Nicola Saracino) ad auspicare il ritorno ad un sistema generalizzato di autorizzazioni a procedere, quale necessaria condizione per sottoporre a procedimento penale i parlamentari, rinvenendosi in tale istituto un saggio punto di equilibrio tra le necessità della giustizia e quelle del libero esercizio del mandato parlamentare nel rispetto della volontà degli elettori; l’importanza della funzione legislativa e del reciproco rispetto tra questa e potere giudiziario, e la necessità, per il bene del Paese e delle Istituzioni di evitare il pericolo di uno stato di conflitto permanente tra le stesse, imporrebbe quindi di reintrodurre l’istituto dell’autorizzazione a procedere, di cui ora si rivaluta la funzione e la saggezza.

Si tratta di osservazioni senz’altro lucide ed intelligenti, che però mi sembrano essere in larga parte condizionate più dal desiderio di rinvenire un termine allo stato di perenne aggressione della magistratura da parte del potere politico, che da una verifica razionale condotta tenendo conto di quella che è stata la concreta esperienza storica dell’epoca in cui l’istituto dell’autorizzazione a procedere vigeva.

Allorché questa era infatti generale condizione di procedibilità nei confronti dei parlamentari, quel che accadeva era che la casta politica difendeva, come ancora oggi normalmente difende, sé stessa; le decisioni sulla richiesta di autorizzazione prescindevano dal merito della fondatezza delle accuse alla stregua degli atti acquisiti (come ancora oggi spesso appaiono prescinderne nei residui casi in cui l’autorizzazione o una valutazione della Camera di appartenenza è ancora prevista), e rispondevano a logiche di appartenenza e di schieramento politico, o appunto di casta; e, per la posizione assunta negando o rilasciando l’autorizzazione a procedere, la responsabilità politica del Parlamento (rectius, dei parlamentari per il voto dato in detta sede) non fungeva affatto, come tuttora non funge, da remora ad abusi e a improponibili posizioni di “copertura” e protezione dei gaglioffi e di intralcio alla giustizia.

La ragione, semplicissima, è che la responsabilità politica è responsabilità di fronte all’elettorato, e cioè alla pubblica opinione; la quale intanto ha un potere di controllo e sindacato effettivo (e può esercitare con consapevolezza il diritto di voto) in quanto venga correttamente informata; ma non da ora (ed oggi molto peggio che in passato), l’informazione è spesso politicamente controllata e manipolata.

In un Paese in cui la lettura dei quotidiani è appannaggio di una minoranza, rivolgendosi la massa ai telegiornali, ed in cui una parte politica controlla tutte le principali reti televisive (oltre che alcuni quotidiani), che speranza vi è che la pubblica opinione, tranne che in alcune sue più avvedute frange, possa formarsi un’opinione veramente libera ed informata? E che speranza vi è, quindi, che possa sindacare le responsabilità politiche degli eletti?

Temo che, se si tornasse all’istituto dell’autorizzazione a procedere, vedremmo accadere per ogni singolo processo riguardante un parlamentare ciò che oggi accade allorché sotto processo è qualche esponente di spicco della maggioranza: a sostegno del diniego di autorizzazione si somministrerebbe al popolo dei telegiornali la trita – ma a quel che pare ancora di effetto – storia del complotto politico ordito da una magistratura politicizzata e comunista, o della ricerca politica di una via giudiziaria alla conquista del potere, ecc. ecc.: il tutto, probabilmente, in un contesto in cui la libertà di stampa (vedi disegno di legge sulle intercettazioni) sarà più imbavagliata di prima, ed i media indipendenti messi nell’impossibilità di rappresentare la vera sostanza dei fatti.

Credo pertanto che la via dell’autorizzazione a procedere non sia la via praticabile né per un più corretto uso dei poteri giudiziari nei confronti dei parlamentari, né per attenuare le occasioni di contrasto istituzionale tra potere giudiziario e potere politico.

Paradossalmente, anzi, il ritorno all’istituto dell’autorizzazione a procedere incrementerebbe nuovi e più gravi contrasti istituzionali; e mi riferisco a quelli tra Parlamento e Corte Costituzionale, essendo prevedibile che quest’ultima verrebbe sempre più spesso evocata dalla Magistratura ordinaria a risolvere i conflitti insorti con la Camera che abbia ingiustamente negato un’autorizzazione a procedere nei confronti di un proprio membro; e poiché la Corte generalmente dà ragione alla magistratura – perchè questa in genere non persegue quelle mire persecutorie che giustificherebbero il diniego dell’autorizzazione – ecco che gli strali delle parti politiche finirebbero, in quest’epoca in cui per le Istituzioni e la loro immagine si ha ben poco rispetto, per investire anche la Corte.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sottoscrivo pienamente in ogni sua parte questo post.
Per fortuna che non la penso così solo io!

Dobbiamo renderci conto che nell'Italia di oggi non ci si può affidare ad alcuna regola o legge anche in minima parte "interpretabile", non c'è in giro né buon senso né onestà e verrebbero sempre interpretate nel senso peggiore. Se una norma serve, proponiamola, ma che sia rigorosa.
Se per la sua applicazione dovessero servire comunque decisioni arbitrarie (è o non è giusto dare l'autorizzazione a procedere a quello specifico candidato? E' in questo caso più importante che proceda la giustizia o che egli possa completare il mandato elettorale?) stiamo certi che non saranno mai oneste. Tanto vale adeguarsi ad altre regole già esistenti (obbligatorietà dell'azione penale, ecc.)

Silvia

Cinzia ha detto...

...già, non c'è legge che tiene se la maggioranza di una società civile è o disinformata (e quindi facilmente manipolabile) o disonesta (e quindi volontariamente manipolata)!

Quand'ero ragazzina mi ricordo i moniti di mio nonno che spesso ripeteva:
"...a da veni' Baffone!!!"
ed io pensavo con il mio piccolo cervelletto d'infante, impaurito all'idea di un tizio sconosciuto che arrivasse all'improvviso con i suoi grossi baffi a cambiare la nostra vita:
"speriamo che non arrivi mai!"
e man mano che crescevo mi convincevo che non sarebbe mai potuto arrivare, e invece...

...chi me l'avesse mai detto che un giorno sarebbe arrivato davvero e senza baffi!
Che dietro di lui ci sarebbero state schiere di servi e davanti orde di stupidi!

Oggi che sono un bel po' più grandicella non ho paura né di lui né dei servi dietro di lui, quelli che mi spaventano di più sono gli stupidi che ha davanti!

Un triste saluto a tutti