domenica 9 maggio 2021

L'eredità tradita di Rosario Livatino

 




di Massimo Vaccari - Magistrato
                                             

Ieri Rosario Livatino è stato beatificato.

E’ stata la prima volta nella storia della Chiesa per un magistrato.

La cerimonia è giunta dopo che giovedì scorso, in occasione della proiezione del docufilm a lui dedicato, il cardinale Bassetti lo haricordato, davanti ai componenti del Consiglio superiore della magistratura, con un discorso di alto profilo, nel quale ha osservato tra l’altro che:

“Rosario Livatino è stato un appassionato difensore della legalità e della libertà di questo Paese. Un autentico rappresentante delle istituzioni che è riuscito a incarnare la certezza del diritto e anche la cultura morale dell’Italia profonda: di quell’Italia che non si arrende alle ingiustizie e alle prevaricazioni, e che non cede agli ignavi e a coloro che si adeguano allo status quo: anche quando lo status quo è rappresentato dalla mafia.

Senza alcun dubbio, Rosario Livatino è stato un piccolo e giovane uomo ma, al tempo stesso, è stato un gigante della verità. Un uomo che ha incarnato il Vangelo delle Beatitudini perché egli aveva “fame e sete di giustizia”.

Parole toccanti e sincere che descrivono fedelmente quello che il giudice ragazzino è stato ed in particolare l’esempio di verità che ha incarnato nella sua breve ma intensa vita terrena.

Nello stesso giorno alcuni soggetti istituzionali hanno voluto commemorare il giudice di Agrigento con delle dichiarazioni che mi sono sembrate alquanto fuori luogo.

Mi riferisco innanzitutto all’avv. David Ermini, vicepresidente del Csm, che, nel corso dell’intervento tenuto nella medesima occasione sopra menzionata, ha citato una riflessione piuttosto nota del magistrato siciliano: "La credibilità esterna della magistratura nel suo insieme e in ciascuno dei suoi componenti è un valore essenziale in uno Stato democratico, oggi più di ieri''.

Ebbene, questa massima sulla bocca del rappresentante dell’organo di autogoverno ha suscitato in me lo stesso effetto del raschio di un’unghia sulla lavagna.  

Non ha avvertito un po’ di pudore l’avv. Ermini a parlare di credibilità della magistratura proprio in questi giorni in cui il Csm è investito da uno scandalo di proporzioni forse anche maggiori di quello, già gravissimo, che appena due anni fa era stato provocato dalle chat di Luca Palamara?

Quale credibilità può avere l’organo di autogoverno per essere rimasto totalmente inerte nonostante, come è ormai chiaro a tutti, fosse stato messo al corrente del contenuto dei verbali dell’avv. Amara ?

E come si può avere l’ardire di partecipare alla commemorazione di colui che è stato definito un “gigante della verità” quando ai cittadini italiani continua ad essere offerto da giorni lo sconcertante spettacolo di un susseguirsi di versioni, parziali e contrapposte, su quasi tutti gli aspetti di questa vicenda, da parte dei suoi protagonisti (anche lo stesso avv. Ermini ne ha resa una in palese contrasto con quella del dott. Davigo)?

Ma non meno sorprendente è stata la dichiarazione del dott. Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, che ha definito Rosario Livatino “un simbolo, un magistrato modello al quale tutti i magistrati, soprattutto in un momento come questo, dovrebbero fare riferimento”.

Mi chiedo infatti se il dott. De Raho avesse pensato all’esempio di Livatino anche quando si rivolgeva, in tono deferente, a Luca Palamara per avere informazioni sull'esito delle sue domande per gli incarichi di procuratore della repubblica di Napoli e di procuratore nazionale antimafia. 

Alle dichiarazioni dell’avv. Ermini e del dott. De Raho, nella settimana appena trascorsa, ha fatto da contraltare l’inspiegabile, prolungato silenzio del Presidente della Repubblica che pure aveva partecipato alla proiezione del docufilm su Rosario Livatino: nessun commento sulla vicenda dei verbali di Amara e sulle sue ripercussioni sul Csm e nemmeno una parola sulla figura del giudice ragazzino.

In effetti è sicuramente meglio il silenzio del rischio di cadere in una retorica sterile.  

Il Capo dello Stato, pur mantenendo quel silenzio, avrebbe però potuto onorare nel migliore dei modi, ed in concreto, la memoria di Rosario Livatino se si fosse determinato finalmente a sciogliere il Csm, data lasua conclamata impossibilità di funzionamento, come gli era stato chiesto, con grande lungimiranza, alcuni mesi fa da 130 magistrati con una lettera aperta.

Certo, si tratta di un intervento estremo ed anche traumatico ma è ampiamente giustificato dalla gravità della situazione in cui versa l’organo di autogoverno e  sarebbe approvato dalla stragrande maggioranza di quanti hanno a cuore le sorti della magistratura italiana.  

Con molta probabilità sarebbe apprezzato anche dalla Commissione Europea che ci tiene sotto osservazione dopo essersi giustamente allarmata per le vicende di magistropoli, tanto da averle menzionate nella relazione sullo stato di diritto 2020 dellaCommissione Europea, nel capitolo sulla situazione dello stato di diritto dell’Italia.

Un simile rimedio è infatti indispensabile per recuperare al Csm quella credibilità che ha perso da tempo e realizzerebbe appieno l’insegnamento di Rosario Livatino secondo cui: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili".

                                                 

2 commenti:

bartolo ha detto...

Un Ricordo di Livatino in linea con quello del Cardinale Bassetti, direi.
Con la differenza, però, che i cardinali operano per bocca di Gesù; i magistrati, per bocca del Popolo. Interpreto questo scritto come: Perdonate il soldato Caifa. (Anche se, non vedo sconti neppure per Mattarella).

francesco Grasso ha detto...

Sicuramente prima di parlare di Rosario Livatino bisognerebbe fare qualche piccolo esame di coscienza in quanto facilmente lo si può offendere.