Spesso la virtù incute timore.
Consci di non esserne all'altezza la dileggiamo, la sminuiamo, aggredendo le persone che ne sono portatrici.
Specialmente quando pensiamo di averla avvicinata ma la virtù, guardandoci dritto negli occhi, ci volta la schiena.
Scorge una realtà diversa da quella che noi vorremo vedesse.
Pubblichiamo la lettera del maggio 2020 con la quale la dottoressa Gabriella Nuzzi (insieme ad altre colleghe) ha rinunciato ad essere candidata alle elezioni del Consiglio Giudiziario di Napoli, sia pure da indipendente, nelle liste di Area Democratica per la Giustizia.
Al Coordinamento Distrettuale Area DG Napoli
Alcuni mesi orsono, abbiamo accettato la proposta di Area DG Napoli di partecipare, come candidate, alle elezioni per il rinnovo del Consiglio Giudiziario nel distretto.
Abbiamo accettato la proposta di candidarci per il desiderio di realizzare insieme, con iniziative concrete, un progetto di rinnovamento dell’organizzazione giudiziaria, libera da logiche corporative e clientelari, progetto di cui Area DG sembrava rendersi promotrice.
Dopo la diffusione, nelle ultime settimane, delle notizie su fatti inediti emersi dalle indagini della Procura di Perugia, il Coordinamento Nazionale di Area DG ha emesso un comunicato auto assolutorio mentre Magistratura Democratica ha scelto di restare in silenzio.
Invece, secondo noi, i fatti che stanno emergendo – non parliamo delle vicende di carattere penale, ma delle relazioni e degli opachi intrecci tra persone, dei comportamenti personali, nelle istituzioni e fuori di esse, delle richieste di favori e prebende, per sé e per altri, di incontri segreti o riservati, addirittura del lessico utilizzato nelle conversazioni – hanno assunto dimensioni di tale gravità ed estensione da aver coinvolto anche magistrati che rappresentano la magistratura progressista.
Quello che scopriamo in queste settimane è la rappresentazione del livello di degenerazione – etica, anzitutto – a cui ci ha condotto un processo storico regressivo – sviluppatosi nella magistratura nell’ultimo decennio che, messe da parte le forti idealità e l’impegno culturale, offre ai magistrati la sola miserabile prospettiva di costruire – per sé e per gli amici – una “carriera” fondata sullo scambio reciproco di favori, sul privilegio e sulla rendita di posizione, attraverso la creazione di un reticolo oscuro di rapporti interpersonali che supera le linee di confine dei gruppi associati e mette insieme persone che, secondo logiche di una “sana politica”, dovrebbero contrastarsi sul piano ideale e culturale.
E’ giunto, quindi, il momento di fare i conti con la realtà e prendere atto di come questo sistema di potere abbia, purtroppo, contaminato anche settori della magistratura progressista.
Un sistema di potere sedimentatosi nel corso degli anni, con il quale ogni singolo magistrato è costretto a convivere ogni qualvolta aspiri, legittimamente, ad un incarico, forte solo della sua storia professionale e senza voler chiedere il sostegno di nessuno.
Ci sembra estremamente grave che, a fronte di questo sconsolante panorama che delegittima la magistratura nel suo insieme, i gruppi del progressismo giudiziario non abbiano deciso di aprire, immediatamente, una riflessione autocritica, arroccandosi, invece, dietro un silenzio incomprensibile o scegliendo la strada di minimizzare i fatti che stanno emergendo, continuando a rivendicare la assoluta estraneità rispetto a questo sistema opaco e sconcertante.
Non riteniamo di modificare questo giudizio nemmeno a seguito della diffusione del nuovo documento di Area DG che, correggendo l’iniziale valutazione ed aprendo ad una prima timida autocritica, rivendica una discontinuità tra la precedente e l’attuale consiliatura, nonostante questa affermazione sembri essere smentita da alcune vicende emerse nel corso della indagine e nonostante alcune recenti scelte per importanti incarichi direttivi appaiano avvenire, al contrario, nel segno delle stesse logiche del passato.
Non possiamo condividere questa linea e con noi, siamo certi, la gran parte dei sostenitori dell’area progressista della magistratura.
Proprio per questo, non appare più possibile, per noi, continuare a rappresentare e chiedere il sostegno elettorale proprio in nome di questi gruppi associativi.
Se lo facessimo, di fatto, questo vorrebbe dire avallare o, quanto meno, condividere qualcosa che è lontano anni luce dal nostro modo di pensare e di concepire la vita associativa.
Non bastano più le iniziative per la tutela degli ultimi e dei deboli, per la dignità delle condizioni nelle carceri, non basta fare proclami sui valori, puntare il dito contro gli altri, quando poi, in realtà, si nasconde la polvere sotto al tappeto nel momento in cui dovremmo, invece, farci carico della questione morale in magistratura, prendere, con fermezza, le nette distanze da quel che accade sotto i nostri occhi e cercare strumenti di soluzione al dilagare di un sistema malato che lusinga e corrode gli animi.
Pur avendo ciascuna di noi tre un percorso diverso, tutte siamo accomunate dall’esigenza di vivere la nostra professione di magistrati con lealtà e correttezza e di portare avanti la concezione secondo la quale, in magistratura, l’impegno politico e nelle istituzioni deve essere sorretto solo da forti idealità e da passioni totalmente disinteressate.
Lo smarrimento per la diffusività di un fenomeno che colpisce anche la magistratura progressista e il silenzio tenuto da parte di chi aveva il dovere di intervenire, ci pone seri interrogativi sul senso attuale dell’appartenenza a questa realtà associativa, almeno sino a quando e se si verificherà un cambiamento radicale nel modo di intendere e praticare il progressismo giudiziario.
E', pertanto, con profonda amarezza, ma anche consapevoli del fatto che non possiamo rappresentare gruppi che sembrano aver smarrito la propria identità originaria, che abbiamo deciso di ritirare le nostra disponibilità a candidarci per il rinnovo del Consiglio Giudiziario del distretto di Napoli.
Napoli 24 maggio 2020
Gabriella Nuzzi
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1 commenti:
Oro colato è quanto dice la dott.ssa G. Nuzzi e le colleghe il 24 maggio 2020. Oggi dimostrato cosa assolutamente certa ed incontestabile dal caso Palamara. Chiarisce poi i motivi indicibili del grave vizio di pretestuosità che sta a fondamento delle censure mosse nei suoi confronti. La gravissima problematica, purtroppo, non è vecchia di qualche decennio, bensì prende origine dall'immediato dopo guerra. Nel 1985(v. strage di Pizzolungo) la gravità raggiungeva i limiti massimi: Carlo Palermo, che aveva condotto inchieste su alta mafia internazionale, mostruosi carichi di droga e armi(attività necessaria per la sopravvivenza dell'intero mondo) colpevole di non essere morto nella strage, veniva costretto a lasciare la magistratura. Dopo gli anni .90, la giustizia entra in coma, e per l'aggravarsi delle sue patologie oggi è in coma irreversibile.
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